Due giorni di dibattiti per ripensare una nuova politica sulle droghe e mettere alla prova su questo tema il nuovo governo guidato da Matteo Renzi. Sono gli obiettivi dell’iniziativa «Sulle orme di Don Gallo», al via oggi nel Palazzo Ducale di Genova. A organizzarla, la Comunità San Benedetto al Porto da lui fondata, insieme al Coordinamento dei Garanti territoriali dei Detenuti, Antigone, Cgil, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca), Lega per la lotta all’Aids (Lila), Fondazione Michelucci, Forum Droghe, Gruppo Abele, progetto Itaca, la rete Itardd che promuove in Italia la riduzione del danno, Legacoopsociali, Società della Ragione, Unione Camere Penali, con il patrocinio di Regione Liguria e Comune di Genova.

Il programma prevede numerose conferenze e quattro laboratori aperti ai consumatori, che si terranno in prestigiose sedi del capoluogo ligure, a partire appunto da Palazzo Ducale. Tra i relatori, Gian Maria Flick, ex ministro della Giustizia, e Lisa Sanchez, responsabile del programma per l’America latina della fondazione Transform, ma anche Daniele Farina, Federico Gelli, Luigi Manconi e Ivan Scalfarotto. «Si torna a Genova, ben 14 anni dopo l’ultima Conferenza governativa sulle droghe che si tenne qui in città nel 2000, perché la maggioranza degli operatori e delle persone coinvolte nell’area delle dipendenze ritengono che quella sia stata l’ultima vera occasione nazionale di confronto aperto, e senza pregiudizi ideologici, su questo tema», chiarisce subito Fabio Scaltritti dalla Comunità San Benedetto al Porto. La nostra legge prevede infatti la convocazione ogni tre anni di una Conferenza nazionale governativa sugli stupefacenti. Ma le ultime due, guidate dal ministro e poi sottosegretario con delega alle droghe Carlo Giovanardi, si erano svolte tra contestazioni e polemiche. Nel 2005, a Palermo, molti operatori e persino le Regioni scelsero per protesta di non partecipare. Peggio ancora quella di Trieste, nel 2009, bollata dagli addetti ai lavori come «vetrina per sigillare le politiche della Fini-Giovanardi», tanto che venne organizzato un contro convegno con operatori da tutta Italia. «Riprendiamo quindi da Genova, da dove secondo noi eravamo rimasti, con quella conferenza molto partecipata del 2000, alla quale l’allora ministro della Solidarietà Sociale Livia Turco consentì di partecipare anche ai consumatori, mentre quello della Salute, Umberto Veronesi, parlò del fallimento del proibizionismo e dell’esigenza di cambiare sperimentando nuove forme di legalizzazione della cannabis», ricorda ancora Scaltritti.

Un decennio e mezzo dopo, gli organizzatori dell’iniziativa chiedono al nuovo governo di attuare quelle strategie. «Da Renzi ci aspettiamo l’introduzione di dispositivi legislativi che superino anche la Iervolino-Vassalli, come un indulto selettivo per far uscire dal carcere tutte le persone che hanno compiuto reati senza vittime. Detenzione, consumo, cessione e piccola produzione di cannabis sono tra questi, come del resto l’immigrazione clandestina della Bossi-Fini. Che colga il pragmatismo di questa proposta». A loro dire, in questo caso davvero «ce lo chiede l’Europa». Per Scaltritti, «Bruxelles impone all’Italia di tornare ad avere un sistema carcerario dignitoso per le persone detenute e di attuare i quattro pilastri sulle droghe indicati dall’Ue, come la riduzione del danno e del rischio sui quali purtroppo siamo tornati indietro di trent’anni». Politiche praticate negli ultimi decenni esclusivamente dal basso e non sostenute economicamente. «Domani (oggi, nda) a Torino verrà ad esempio aperta dalla Asl 4 la prima narcosala, uno spazio situato a fianco al Sert e sorvegliato dai medici per consumare sostanze sotto controllo».

«Non sono sufficienti interventi quali il piccolo decreto «svuota carceri», che doveva far uscire 1.700 persone tra ottobre e gennaio mentre ne sono uscite molte meno, o il «carcere dinamico» che allunga l’ora d’aria per dire all’Europa che la gente sta più fuori dalle celle che non dentro», conclude l’operatore della comunità genovese. Proprio don Gallo sosteneva che «riconoscere al cittadino tossicodipendente, come a chiunque altro, responsabilità piena e intangibile, non è solo un orientamento etico e politico ma un dettato costituzionale (articolo 3)».