Antigone ha sempre rappresentato uno dei principali cuori pulsanti della tragedia greca. La sua ribellione al potere di stato rappresentato dallo zio Creonte. Questi prende il regno a Tebe dopo che si è consumata la tragedia di Edipo, patricida e ignaro sposo della madre, fino all’uccisione reciproca dei due suoi figli maschi, uno giunto al potere e l’altro che vuole strapparglielo con guerra fratricida. Il figlio assalitore viene quindi condannato, da Creonte nuovo re, a non essere sepolto. Ma sua sorella Antigone, appunto, sfida la legge dello stato e lo seppellisce per dargli riposo e dignità eterni. Il suo gesto assume da privata rivolta un fortissimo valore politico contro lo stato (Rossana Rossanda le aveva dedicato ai primi anni 90 un saggio indimenticabile).

A dare corpo teatrale a quel gesto torna ora Federico Tiezzi, che sulla eroina di Sofocle aveva già lavorato alcuni anni fa. Così, appena un mese dopo la gigantesca macchina freudiana sulla Interpretazione dei sogni presentata al Piccolo, torna ora in scena con Antigone (all’Argentina fino al 29 marzo). E il bagaglio dell’uno (di omaggi, citazioni e respiro spettacolare) si trasferisce al successivo. Così la prima scena della tragedia antica è un borghese pranzo di famiglia tra coloro che ne saranno protagonisti: Creonte e sua moglie, sua nipote Antigone con la sorella Ismene e il fidanzato (figlio di Creonte) Emone.

Tutti gli altri personaggi che sulla scena prenderanno vita, sono coro e spettri della città di Tebe, una massa di distinguibili entità e significati, che ha il suo coronamento della apparizione dell’indovino Tiresia nella sua prima identità, quella femminile (una sgargiante Francesca Benedetti scarmigliata, che rende bene la «follia» di chi osa dire una indicibile verità). Quella tragedia che appare così squisitamente «familiare» (se non parentale) mostra presto i suoi riverberi sociali e politici, nei personaggi che continuamente l’arricchiscono. Soprattutto quelli più giovani, che si trovano ad officiare il «rito» della insubordinazione dentro le pareti di una antica archeologia industriale ingrigita dal tempo e dal senso (bella scena di Gregorio Zurla, e bei costumi di Giovanna Buzzi). Una sorta di morgue, che allinea su lettini scheletri vari: di lignaggio, di valori, di antichi privilegi e di ataviche colpe.

Quel percorso verso la carneficina finale lascerà il potere solo con il suo simulacro Creonte (cui Sandro Lombardi conferisce autorevolezza sfumante a tratti in dolorosa consapevolezza), mentre le musiche bellissime danno fiato e continuità al racconto. Protagonisti assoluti quanto infelici appaiono i più giovani (anche se non mancano flash sorprendenti, come la resa dei cunti di Annibale Pavone). Lucrezia Guidone è la protagonista Antigone, sicura e conscia del proprio destino; Ivan Alovisio ècapace di dare spessore al fidanzato Emone; Federica Rosellini conferma la sua giovanissima maturità come Ismene senza nessuna compassionevole svenevolezza. La regia di Tiezzi conferma la sua ricchezza visionaria di conoscenza del teatro e delle sue stagioni: capace di cogliere aromi e ricordi di quello migliore, e chiudendo in un senso compiuto e a noi vicino la funeraria insurrezione di Antigone.