«Il 7 gennaio 2019 è stata una giornata particolare. Si fa un vertice sulla violenza negli stadi e si dice che le partite non devono essere interrotte se ci sono cori razzisti. Gli scienziati del Consiglio della sanità vengono schedati secondo le preferenze politiche. Ci sono due navi con 49 persone in mezzo al Mediterraneo. Due giornalisti che stanno documentando una manifestazione di sigle dell’estrema destra vengono insultati, minacciati e percossi». Da buon cronista, il direttore dell’Espresso Marco Damilano apre con una cronaca l’incontro «La parola antifascista» ieri mattina al Nuovo Sacher di Roma. L’iniziativa nasce dopo l’aggressione dei giornalisti del settimanale Federico Marconi e Paolo Marchetti durante una commemorazione della destra radicale. Ma è solo uno degli episodi di questi giorni. Tira un’ariaccia.

Sala strapiena – molti restano fuori -, in prima fila vecchi partigiani accanto al disegnatore Mauro Biani. C’è anche Nanni Moretti. Dal palco parlano Fabrizio Gifuni, Michela Murgia, i ragazzi del centro di accoglienza Baobab, la professoressa Donatella Di Cesare (ricorda che dalla stazione Tiburtina, dov’è il Baobab, partirono deportati ebrei per Auschwitz), Diego Bianchi alias Zoro e il sindacalista Aboubakar Soumahoro.
Torniamo ai fatti del 7 gennaio scorso, quella giornata qualunque eppure particolare: «Tutto viene minimizzato da chi avrebbe il compito di far rispettare la legalità della Costituzione italiana democratica e antifascista», scandisce Damilano. «La parola antifascista» non si usa per retorica o pigrizia mentale, conclude. «Non ci interessa dire che siamo nella stessa situazione di cento anni fa. Vogliamo dire che antifascista è la parola, il pensiero, il dialogo, il ragionamento, la convivenza con la diversità, il dubbio e l’ironia».