Operazione chirurgica doveva essere e operazione chirurgica è stata. Nella notte tra mercoledì e giovedì la seconda commissione del senato ha concluso i lavori sul disegno di legge anti corruzione. Con una sola modifica, l’asportazione di quella riga (la lettera r del primo comma dell’articolo uno) che era stata inserita alla camera con il voto segreto. Quando successe sembrava il finimondo. I 5 Stelle ci misero un attimo a capire che erano stato gli alleati della Lega, a cui tutto il provvedimento piace pochissimo, a unirsi alle opposizioni nel segreto dell’urna elettronica. Il risultato era una depenalizzazione del peculato, perché assimila all’abuso d’ufficio aggravato il reato per il quale sono stati condannati in primo o secondo grado alcuni dirigenti leghisti – compreso il capogruppo dei deputati e il vice ministro ai trasporti – e sono indagati diversi esponenti anche di Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia coinvolti nelle tante «rimborsopoli» regionali.

Dalla minaccia di crisi di governo all’accordo per rimettere assieme i cocci allora passarono solo poche ore, l’intesa fu che si sarebbe rimediato al senato per poi approvare definitivamente la legge che i grillini chiamano «Spazzacorrotti» alla camera, entro la fine dell’anno. Il problema poteva essere che una volta schiusa la porta alla terza lettura, il provvedimento al senato avrebbe potuto essere riaperto anche in altri punti: le critiche non mancano a cominciare dallo stop alla prescrizione dopo il primo grado rinviato nell’entrata in vigore al gennaio 2020. Anche il dossier dell’ufficio studi del senato ha evidenziato alcuni punti deboli della legge voluta dal ministro della giustizia Bonafede. Il passaggio in commissione l’altra notte dice invece che non andrà così, perché in cinque ore di seduta notturna sono stati bocciati tutti gli emendamenti, circa duecento. Li aveva presentati solo l’opposizione, la maggioranza si è limitata a un emendamento soppressivo appunto del comma aggiunto alla camera. E nemmeno tutta la maggioranza, perché a rimarcare come la correzione stia a cuore solo ai 5 Stelle, l’emendamento soppressivo è stato firmato esclusivamente dal capogruppo grillino a palazzo Madama Patuanelli. Anche le firme che si sono aggiunte durante il dibattito sono state solo dei commissari grillini. Ma dire dibattito è dire troppo, come hanno raccontato i sentori del Pd in commissione: «La discussione si è tenuta senza alcun apporto da parte dei senatori pentastellati e leghisti. Non un intervento sugli emendamenti, non una replica, nessun confronto con le opposizioni sulle questioni di merito».

Si è andati avanti a colpi di maggioranza, a quella giallobruna si è unito il voto di Fratelli d’Italia. L’unica cosa che non è mancata è stata l’esultanza finale. «Rimettiamo le cose giuste al posto giusto. Quella norma era inaccettabile per il Movimento 5 Stelle, era uno sconto a chi commette il reato di peculato», hanno detto le due relatrice, entrambe grilline.
Ora il testo va in aula e la maggioranza deve approvarlo entro la fine della prossima settimana, per poi rimandarlo alla camera. Dove l’ultima settimana di lavori prima delle vacanze di natale è riservata a questa legge (a meno di code sul decreto fiscale). Di Maio ha già detto di voler brindare alle feste con «i corrotti in galera», augurandosi immediati arresti in flagrante (la legge ne amplia la possibilità). Ma in un calendario già fittissimo, i 5 Stelle di bandierine ne vogliono piazzare addirittura due, oltre al voto finale sull’anti corruzione vogliono far partire in aula la riforma costituzionale.