Slitta alla metà della prossima settimana l’arrivo in aula del disegno di legge anticorruzione. Lo si aspetta dall’inizio della legislatura (il testo originario fu presentato dal presidente del senato Grasso), è stato rilanciato con una serie di annunci dal governo l’autunno scorso ed è infine rimasto bloccato cinque settimane extra in commissione in attesa che il governo depositasse il suo emendamento sul reato di falso in bilancio. Alla fine tre delle quattro modifiche proposte dall’esecutivo – che aumentano le pene e recuperano la procedibilità d’ufficio per il falso in bilancio delle società quotate, abolita ai tempi di Berlusconi e Tremonti – sono state votate ieri sera. L’ultima invece dovrà tornare stamattina in commissione, perdendo l’ultimo treno per entrare in aula prima di mercoledì prossimo. «Colpa dell’ostruzionismo di Forza Italia», dice il Pd. «Insipienza del governo», replicano, con buone ragioni, i berlusconiani.
È successo che malgrado la lunghissima gestazione del provvedimento, il quarto emendamento che si riferisce alla «tenuità del fatto» e riguarda le società non quotate è arrivato in commissione prima della legge che andrebbe a emendare. Che è un decreto legislativo, anche questo messo a punto dal governo con grave ritardo (lunedì scorso) rispetto all’approvazione delle legge delega (aprile 2014). Fino a ieri sera i senatori che lo hanno preso in esame non potevano conoscere la legge che andavano a cambiare, se non nella versione informale in pdf che il viceministro Costa ha provato a distribuire in commissione. «È sul sito della gazzetta ufficiale», garantivano nella maggioranza. Ma su quel sito il decreto è comparso solo in serata. Con ben leggibile l’avviso che la legge entrerà in vigore il 2 aprile prossimo. Prima di allora, il senato proverà a cambiarla. Ma dovrà farlo in aula dalla prossima settimana.

La conferenza dei capigruppo aveva riservato al disegno di legge anticorruzione, ripetutamente twittato come cosa fatta dal presidente del Consiglio (e siamo ancora alla prima lettura), la mattina di oggi. Invece oggi alle 11 scade il termine per i subemedamenti alla proposta di «non punibilità» avanzata dal governo, che prevede per il giudice il dovere di valutare «in modo prevalente, l’entità dell’eventuale danno provocato alla società ai soci o ai creditori». Successivamente la commissione dovrà passare ai voti. Ma dalle 15 le camere sono convocate in seduta congiunta per l’elezione di due giudici costituzionali. E, respinta la proposta dei 5 stelle di lavorare anche durante il weekend, si andrà alla prossima settimana. Quando però i senatori dovranno affrettarsi a convertire il decreto sulle banche popolari. L’anticorruzione arriverà dopo.
Il passaggio in commissione ieri ha confermato l’impostazione governativa, che distingue tra società quotate in borsa e non quotate. Per le prime è prevista una pena da 3 a 8 anni di carcere. Per le seconde da 1 a 5 anni. In questo caso il senatore Lumia del Pd aveva presentato un emendamento per alzare a 6 anni il massimo, così da rendere possibile l’utilizzo delle intercettazioni anche nelle indagini sulle società non quotate. Ma l’ha ritirato, annunciando che lo ripresenterà in aula (Ncd è contrario). Resta la procedibilità solo su querela per il falso in bilancio delle piccole società, che hanno un giro di affari non superiore ai 300mila euro l’anno.