Alla camera, dove i giallobruni avrebbero in teoria numeri di tutta tranquillità, la maggioranza tracolla. Con il voto segreto il governo è stato battuto sul provvedimento simbolo dei 5 Stelle, l’anti corruzione. Lo strappo voluto dal ministro della giustizia Bonafede, che ha provato a inserire nel suo disegno di legge sui reati contro la pubblica amministrazione la riforma della prescrizione, imponendola alla Lega, ha provocato la prima clamorosa sconfitta parlamentare del governo. Proprio nei giorni di massima tensione tra alleati. Non è solo l’approvazione di un emendamento che aiuta diversi politici nei guai con i processi sulle cosiddette “rimborsopoli” regionali, molti dei quali della Lega a partire dal capogruppo Molinari. È la sconfessione dell’idea grillina di una legge mortificata in commissione, nelle audizioni, da tutti i giuristi, ma utile come bandierina per la campagna elettorale.

L’incidente arriva dopo le otto di sera, con 284 voti a favore e 239 contrari passa un emendamento del deputato Vitiello, eletto con i 5 Stelle ma poi espulso dal gruppo perché iscritto alla massoneria. La modifica depenalizza il reato di peculato per il quale sono a processo diversi deputati leghisti – Molinari e Tiramani sono stati condannati in secondo grado come l’ex governatore del Piemonte Cota, per il sottosegretario Rixi c’è la richiesta del pm in primo grado di una condanna a tre anni – ma che vede indagati anche parlamentari di Forza Italia, Pd e Fd’I. È lo stesso emendamento che venerdì scorso ha tenuto bloccate le commissioni prima e seconda perché, presentato dalla Lega, era stato definito «inaccettabile» dai 5 Stelle. Non riguarda la prescrizione, se non indirettamente perché depenalizza il reato di peculato in particolari circostanze, assimilandolo all’abuso di ufficio aggravato.

«È un fatto gravissimo, noi non salviamo i furbetti», ha detto il capogruppo M5S interpretando il panico del Movimento subito dopo il voto. Mentre Salvini ha parlato di «voto sbagliato», aggiungendo che «la posizione della Lega la stabilisce il segretario». Una dichiarazione che in pratica assume sul suo gruppo la responsabilità del fattaccio. E che smentisce i tentativi dei leghisti fuori dall’aula di scaricare la responsabilità sui franchi tiratori grillini «che non vogliono votare il decreto sicurezza e hanno mandato un segnale». Ma se è comprensibile che le preoccupazioni del ministro dell’interno siano tutte per il “suo” provvedimento simbolo, in arrivo in aula proprio alla fine di questa settimana, non è possibile cancellare la firma leghista da questo agguato.

Del resto anche nel voto palese sugli emendamenti precedenti i deputati della Lega se l’erano presa molto comoda. Con un record di assenti giustificati (in missione, 25 su 125 totali) e non giustificati (11). La parte bassa dello spicchio leghista dell’aula è rimasta vuota per tutto il pomeriggio, e così più volte i giallobruni hanno visto assottigliarsi il proprio margine (sulla carta superiore a cento) sotto i venti voti. “Merito” anche del ministro Bonafede, comparso in aula per un veloce comizio, prima di scappare a Porta a Porta avendo però riaperto il dibattito e di conseguenza allungato i tempi. Gli applausi per il guardasigilli sono arrivati solo dal gruppo grillino e i deputati leghisti già messi a dura prova hanno dato segni di insofferenza (qualcuno anche applaudendo le opposizioni) quando il relatore M5S Forciniti ha pensato bene di prodursi in un attacco ai governi del centrodestra e alla legge “ad personam”. Troppo facile per il Pd ricordare che quelle leggi le aveva votate la Lega, che poco dopo si è vendicata.

Ma mentre Forza Italia ha salutato con entusiasmo la «sconfitta del giustizialismo» e il «coraggio» dei leghisti nell’abbandonare gli alleati, il Pd ha proposto una lettura molto sofisticata dell’incidente, probabilmente troppo. Si tratterebbe cioè di un accordo sotto banco tra Lega e M5S per far passare nel voto segreto quello che a voto palese era troppo sconveniente rivendicare. Le facce dei grillini raccontano altro e la tensione nella maggioranza pure. Soprattutto, con il decreto sicurezza alle porte e la legge di bilancio a seguire immediatamente, è l’intero provvedimento anti corruzione che adesso traballa, anche perché quella che doveva essere una seduta notturna è stata interrotta. Per portarlo a conclusione alla camera servirà qualche seria forzatura. Vista l’aria che tira tra alleati, e visto anche che non c’è ancora l’accordo sulle norme sulla trasparenza dei partiti, anche questo è un bel rischio per la maggioranza.