L’immunologo Lorenzo Moretta è uno degli scienziati italiani più noti al mondo per le sue scoperte sui meccanismi del sistema immunitario che negli anni ‘80 hanno aperto la strada alla ricerca sulle immunoterapie contro i tumori. Oggi è professore emerito all’università di Genova. Insieme ai colleghi Alberto Mantovani, Guido Forni e Gianni Rezza, tutti soci dell’Accademia dei Lincei, ha pubblicato da poco I vaccini fanno bene. Perché dobbiamo credere nella scienza per difenderci da virus e batteri per la casa editrice «La nave di Teseo». Non è un libro sul coronavirus, ma la pubblicazione in piena pandemia globale lo rende di particolare attualità. Al centro del libro ci sono i vaccini, una delle invenzioni della modernità che ha maggiormente contribuito al benessere della parte ricca dell’umanità, e che oggi deve essere messa a disposizione di tutti.

Per mettere a punto un vaccino contro il coronavirus è in corso una gara internazionale con oltre cento progetti in campo. Ma trovare un vaccino efficace non sarà facile e veloce. «Per valutare l’efficacia di un vaccino bisogna vaccinare decine di migliaia di persone in una zona epidemica e poi osservare la percentuale che si ammala a confronto con una gruppo di persone che non ha ricevuto il vaccino. È un processo che richiede molto tempo. Poi c’è il problema della produzione: chi si prende il rischio economico di produrre grandi quantità di vaccini? Dunque è difficile ipotizzare quando sarà disponibile per la popolazione».

Infatti non abbiamo un vaccino per ogni virus conosciuto.

No. Pensiamo ad esempio al virus dell’influenza aviaria. Circola nei polli e si trasmette solo a chi viene in contatto con loro, e ha una mortalità del 50%, altissima anche in individui giovani. Ma ci preoccupa perché i virus influenzali mutano molto più del coronavirus. Dunque è possibile che grazie a una mutazione diventi possibile la trasmissione da uomo a uomo. Perciò si stanno studiando vaccini più efficaci, basati su nuovi adiuvanti. O pensiamo alla malaria, un parassita che cambia sempre aspetto e ha la capacità di “nascondersi” nelle cellule.

Qual è la difficoltà maggiore nello sviluppo di un vaccino contro il coronavirus?

Finora i vaccini puntano a sviluppare gli anticorpi. Ma non è detto che la produzione di anticorpi sia efficace. Ricordiamo che il nostro sistema immunitario è costituito da diverse linee di difesa. C’è la risposta innata e quella specifica basata sugli anticorpi. L’influenza, ad esempio, viene fermata da quella innata, e quando vengono prodotti gli anticorpi il virus è già sparito. Spesso sottovalutiamo l’importanza dell’immunità innata. Invece è fondamentale ed è anche decisiva nello stimolare l’immunità adattativa. Per questo è importantissimo anche il ruolo degli adiuvanti, che stimolano la risposta innata, in un vaccino. Per il coronavirus è ancora tutto da vedere. Molte persone guarite non hanno prodotto anticorpi, e quelli che cerchiamo (IgG e IgM) potrebbero non essere quelli giusti: virus e i batteri che si trasmettono attraverso le mucose sono combattuti da altri anticorpi detti «IgA». Dunque il problema è capire quali anticorpi siano protettivi. L’approccio finora è stato un po’ convulso per l’importanza di fare presto.

Nel vostro libro parlate della possibilità di sviluppare vaccini anche contro il cancro.

Alcuni esistono già e penso al papillomavirus: la vaccinazione ha salvato decine di migliaia di donne in Africa. Ora si lavora a vaccini curativi. Queste terapie dovrebbero usare gli antigeni propri delle cellule tumorali e stimolare il sistema immunitario a riconoscerle e attivarsi contro di loro. Ma non ci siamo ancora arrivati.