È vero che la cura contro il Covid-19 esiste, e se non è disponibile è colpa del Direttore Generale dell’agenzia italiana del farmaco (Aifa) Nicola Magrini? È quanto sostengono diversi medici e scienziati molto attivi sui media. La terapia negata è quella a base di anticorpi monoclonali destinati ai pazienti con sintomi lievi: in diversi paesi europei, sull’esempio degli Usa, sono già in uso. In Italia, l’Aifa finora non ha dato il via libera.

IL PIÙ VEEMENTE contro Aifa è Guido Silvestri, virologo italiano in forze alla Emory University di Atlanta (Usa) assai impegnato su Facebook: «La posizione del Dg di Aifa, Nicola Magrini che non approvò la sperimentazione sostenuta da me e molti altri colleghi (tra cui il direttore del Dipartimento di malattie infettive dello Spallanzani, Andrea Antinori; i membri del Cts Ranieri Guerra e Gianni Rezza, il viceministro Pier Paolo Sileri e Roberto Burioni) diventa a mio avviso del tutto insostenibile». Segue richiesta di dimissioni. Anche il consulente del ministero Walter Ricciardi, in diretta tv, domenica non era stato tenero: «Non capisco la lentezza dell’Aifa nell’approvazione». Infine, su Magrini è piovuto il fuoco amico del presidente Aifa Giorgio Palù che ha accusato il suo stesso ente di rispettare troppo le regole: «Questa ortodossia in questo momento non era necessaria».

LE TERAPIE GIÀ autorizzate “per uso di emergenza” negli Usa sono il bamlanivimab della Eli Lilly e il cocktail di anticorpi della Regeneron, utilizzato per curare l’ex-presidente Trump. La diffidenza di Magrini, rigoroso fautore della «medicina basata sulle evidenze», nasce dalla scarsità di dati sull’efficacia delle terapie. Le autorizzazioni statunitensi sono arrivate dopo test preliminari in cui i farmaci avevano dimostrato, al massimo, un abbassamento della carica virale e una diminuzione del numero di ospedalizzazioni. Ma il numero di pazienti coinvolti era così piccolo da richiedere conferme ulteriori.

Pochi giorni fa il Journal of the American Medical Association ha pubblicato dati più aggiornati dei test che dimostrano come il bamlanivimab – il farmaco sponsorizzato da Silvestri – nella formulazione approvata dagli Usa in realtà non comporti benefici significativi per i pazienti. Solo in combinazione con un altro anticorpo dimostrerebbe un calo della carica virale. Per il cocktail Regeneron gli studi sono ancora in corso.

L’AGENZIA EUROPEA del farmaco (Ema) finora è stata prudente: «Sugli anticorpi monoclonali abbiamo ancora pochi dati» dice Armando Genazzani, membro del comitato di valutazione dei farmaci dell’Ema. L’Aifa però non aveva chiuso le porte agli anticorpi, visto che dal 22 gennaio è aperto un bando per la realizzazione di una sperimentazione sul farmaco.

Ma non basta: l’Aifa dovrebbe autorizzarne l’uso senza attendere il parere europeo, chiedono i critici. Dopo tante pressioni, il ministro della Salute Speranza ha chiesto a Aifa di esaminare il dossier. Magrini ha dovuto convocare d’urgenza la Commissione Tecnico-Scientifica dell’agenzia, che però ha rimandato ogni decisione a successive audizioni delle società farmaceutiche coinvolte. Il timore di molti esperti è che si riproduca un altro caso “idrossiclorochina”, farmaco a lungo sperimentato contro il Covid sulla spinta dell’opinione pubblica e rivelatosi poi inefficace. Con la differenza che l’idrossiclorochina costa pochi euro, mentre il governo Usa ha pagato alla Eli Lilly 1.250 dollari per ciascuna fiala di bamlanivimab.

NON È L’UNICA GRANA per l’Aifa. Anche la recente autorizzazione del vaccino prodotto dalla società farmaceutica AstraZeneca sta creando più interrogativi che certezze. Solo venerdì l’Aifa aveva accolto il parere dell’Ema, autorizzandone l’uso nei pazienti più anziani ma considerando “preferenziale” quello nella fascia di età 18-55 anni in buona salute. Lunedì l’Agenzia aveva poi esteso la raccomandazione poiché «il rapporto beneficio/rischio di tale vaccino risulta favorevole anche nei soggetti di età più avanzata». Infine, nella giornata di ieri ha fatto un nuovo dietrofront, precisando che nulla è cambiato rispetto alla prima valutazione.

Come sempre, tra una decisione e l’altra non sono mancate le ingerenze della politica nelle valutazioni scientifiche. «Ho scritto al direttore generale di Aifa chiedendogli di rivedere il limite dei 55 anni», ha ammesso ieri il sottosegretario Sileri. La vera posta in gioco è il piano vaccinale: per rispondere alla mancanza delle dosi previste il ministero spera di poter usare tutte le armi a disposizione, e i limiti sull’età potrebbero ostacolare la campagna.