La sera del 3 agosto il sindaco Marino, dichiarando che nessuna città importante di questo mondo avrebbe mai potuto ammettere che il suo monumento-simbolo diventasse uno spartitraffico, aveva promesso la pedonalizzazione di un tratto di via dei Fori Imperiali. Detto e fatto. Ma l’audacia della proposta ha reso molti, che ci vedevano bene fino ad allora, parte miopi, parte presbiti. I miopi hanno notato che non eravamo preparati alla soluzione immediata di alcuni problemi pratici di difficile soluzione.
I miopi hanno notato che non eravamo preparati alla soluzione immediata di alcuni problemi pratici di difficile soluzione. Scambiando impressioni per certezze assolute, hanno rilevato una mostruosa congestione del traffico nelle zone limitrofe al Colosseo a causa di alcuni cambiamenti di senso di marcia. S’è detto, per esempio, che il traffico di via Merulana sarebbe diventato pesantissimo, nonostante sia quasi uguale a prima e la presidente del primo Municipio, Sabrina Alfonsi, si sia dichiarata pronta a rivedere ogni punto controverso. S’è detto che i commercianti di via Labicana avrebbero avuto un danno gravissimo dall’ impossibilità per i loro clienti di parcheggiare le auto, quando in tutte le vie limitrofe si può parcheggiare come prima nonostante i posti siano stati sempre pochi.
I presbiti hanno eccepito che è errato il termine “pedonalizzazione” per un tratto di strada dove innegabilmente passano autobus, taxi, pullman turistici, auto di servizio. Ma a molti è forse sfuggito il punto cruciale della questione: si deve intervenire o no su via dei Fori Imperiali? Ha ragione il sindaco nell’indicarlo quale atto di governo necessario alla città e alla sua cultura? Credo di sì. Credo che dovremmo sostenerne il progetto sia pur senza perdere la cognizione dei problemi che emergono da tale strategia. Per valutarne il senso, occorre mettere a fuoco il problema della fruizione della città antica insieme con la città moderna.
Normalmente i grandi nuclei antichi all’interno o all’esterno di città moderne sono circoscritti e definiti costituendo una sorta di città nella città. E’ il caso della città proibita a Pechino, o di Machu Picchu in Perù. Ma a Roma, che è un unicum in tutto il mondo, la città antica convive con quella moderna per tratti lunghissimi e inestricabilmente interconnessi, tanto che si potrebbe considerare un parco archeologico l’intero centro storico e, quindi, correre il rischio di mortificare la vita degli abitanti in una sorta di musealizzazione paralizzante. La conservazione e la valorizzazione dei monumenti sono compatibili, invece, con il pieno sviluppo della modernità e del quotidiano, della produttività e della realizzazione di quelle legittime aspirazioni che ognuno di noi deve avere rispetto alla città e ai suoi servizi.
L’idea del sindaco è stata quella di affermare tale supremo principio amministrativo compiendo un primo atto emblematico nella giusta direzione. La città antica deve poter essere percorsa e deve vivere con quella moderna: quindi l’idea della pedonalizzazione di quel breve tratto di strada, sia pur cruciale per la vita della città, deve essere realizzata ed è logico che lo sia per gradi, data la complessità delle procedure operative. Non è stato un errore dare attuazione a tale principio, sia pure in una forma intermedia, proprio là dove la città antica e quella moderna si toccano e “lavorano” una dentro l’altra con disagio: penso, per esempio, ai cantieri della Metro C, che certamente creano e creeranno, per molti anni, enormi problemi amministrativi e politici, etici ed estetici, oltre che logistici.
In una città in cui appare inevitabile e necessario porre sullo stesso piano Antico e Moderno, credo che ben presto saremo obbligati all’uso esclusivo di mezzi pubblici elettrici con ovvi benefici sulla nettezza e salubrità ambientali. La città moderna ha bisogno delle sue strade ma può pretendere a una pedonalizzazione anche radicale, che però non può essere fatta, come se Roma fosse un cittadina del Parmense, della Provenza o dell’Olanda, dove il centro è piccolo e percorribile da chiunque in poco più mezz’ora. A Roma, dove il contatto con l’Antico, presente e incombente anche se spesso ridotto a rudere di difficile comprensione, si estende per chilometri, è necessaria, inoltre, un’opera straordinaria di riqualificazione, per ricollegare il Centro con le tante aree urbane denominate “periferiche” negli anni cinquanta: è un problema di dignità di vita e di concreto esercizio della cultura nel quotidiano. Si deve per forza partire dall’area dei Fori Imperiali ma con l’idea che sia la stazione di partenza da riconnettere necessariamente con tutto ciò che non è più il centro della città moderna ma che fu area rilevante della città antica e può ancora essere avvertita come tale.
Certo un’edilizia disordinata ha annichilito la possibilità di un raccordo efficace tra tante realtà che, pure, conservano ancora i segni precisi dell’omogeneità del tessuto storico. Ma è questo è il problema da risolvere in una concezione realmente moderna della vita culturale della città, come è stato espresso in modo alto e commovente da Rosi nel suo “Sacro Gra”, che andrebbe apprezzato meglio proprio in questa chiave di lettura. Quindi pedonalizzare Roma non vuol dire solo poter andare a piedi lungo via de Fori Imperiali ma vuol dire fare di quest’area urbana il laboratorio in cui si sperimenta la convivenza della città archeologica con la città moderna.
Per farlo è necessario puntare al riscatto, consapevole e concreto, di altri nuclei urbani importanti come i Fori Imperiali, il Palatino e il Colosseo: penso al Mausoleo di Augusto e a piazza Augusto Imperatore, da ripensare come fulcri e monumenti viventi e non come musei. La valorizzazione dei musei di Roma è, infatti, l’altro grande tema che scorre in parallelo. “Museo” sta significando sempre più accentuazione del turismo a danno dell’inserimento dei monumenti nel tessuto vivente della città. Non a caso i musei diventano desiderabili e agognati di notte, quando vengono aperti gratuitamente, per ridiventare poi remoti di giorno. Nessuno comprende più, per esempio, che la Cappella Sistina è un monumento vivo, dove rifulgono opere d’arte di impatto universale e la Chiesa tiene il Conclave. Provate a togliere la Cappella Sistina dai Musei Vaticani e a considerarla per quello che è: un luogo sacro, dove molti vanno ad ammirare le opere d’arte, ma dove altri vanno a pregare, se sono cristiani, e dove di volta in volta va anche lo Spirito Santo, in compagnia dei cardinali, e senza l’obbligo di pagare un biglietto. Ma la Cappella Sistina fa parte dei Musei Vaticani, così la biglietteria prospera ed è giusto così.
Così, del resto, è il Colosseo, un monumento e un luogo oggi assolutamente inseparabili e indistinguibili dall’area dei Fori Imperiali e del Palatino dal punto di vista storico. La sua biglietteria è fondamentale per la Soprintendenza Archeologica di Roma, ma il “monumento”, oltre che una macchina turistica, dovrebbe essere un luogo vissuto e cruciale della città, o perlomeno avvertibile come tale.
La pedonalizzazione avviata dal sindaco Marino va, in tal senso, nella direzione corretta inducendoci a ragionare sul patrimonio monumentale cittadino per riappropriarcene tutti, abitanti e visitatori. È l’unico modo per fare di Roma la capitale culturale di cui nessuna dubita ma non così tanti sembrano occuparsi nel verso giusto che non va perso di vista: miopi o presbiti possono rimediare facilmente.