Nel giro di un mese, per puro caso, ho letto due libri di una (a me) emerita sconosciuta di nome Valentina Diana. Il primo l’ho comprato una mattina di settembre alla libreria della stazione Termini nell’attesa di un treno per Venezia (verso il festival del cinema): avevo già un paio di volumi con me, ero ben consapevole che non avrei avuto tempo di leggerli, ma davanti a quel titolo, Smamma, non ho resistito e mi sono caricata di un terzo libro. Tempo dopo, di passaggio in libreria, m’imbatto nuovamente nel nome di questa scrittrice, due nomi intercambiabili al posto di un semplice nome proprio e cognome. Mariti o le imperfezioni di Gi. Capisco dalla iniziale usata a denominare il compagno che trattasi o del seguito della storia o di altra parte di vita dei medesimi protagonisti. Mi piace la cosa, afferro l’oggetto, pago e me lo porto a casa. La scrittura della Diana è lineare, discorsiva, a tratti confessata: mi è semplice rientrare in contatto con le debolezze umane dei personaggi principali e dei secondari, nuovi e vecchi (che potrebbero essere le mie e quelle dei miei cari, dei miei amici).

Amo quei libri dove entri nella vite delle persone, che siano reali o meno (e queste lo sembrano assai), ti ritrovi a far parte della famiglia (il Meschino e Macchianera…), dentro le loro emozioni e paure, nelle cose che desiderano, nei traslochi, nei fallimenti. Nella prima parte della saga, Smamma, il centro ruota attorno al figlio adolescente Mino, che odia la scuola, risponde male alla madre (l’io narrante che si rivolge a un tu che è proprio il ragazzo), non le parla e quando lo fa la insulta: una situazione tipica di quell’età, in cui posso riconoscere la me del passato e presagire la me del futuro (contrappasso storico inevitabile: nel ruolo, ahimè, di madre maltrattata). La narratrice surfa con spirito creativo sulle difficoltà, si iscrive ad un corso per genitori dopo aver letto un tomo di un Professorone di cui condivide poco le teorie, così per provare… E lì nascono rapporti, confronti, amicizie vere.

In Mariti o le imperfezioni di Gi Mino è cresciuto, si è placato, ha accettato un patrigno che nevroticamente gioca a Ruzzle nello sgabuzzino e la protagonista è preda dell’amore. Ci racconta come ha rincontrato Gi, amico-amore platonico dell’adolescenza attraverso nuovi metodi di comunicazione tecnologica (Facebook), il timore della delusione, l’incontro a Milano procrastinato per eccesso di aspettativa. Gi e Drina (così si chiama) si amano subito, si amano facile: come due pneumatici della stessa vettura virano a sinistra, scartano, inchiodano, perdono gomma sul selciato, salgono di giri e ripartono nel circuito, a tratti pericoloso a tratti quieto, della vita. E noi, in effetti voi non so ma almeno io che l’ho letto, sono stata passeggera allegra, simpatetica, emozionata della parte di viaggio compiuta insieme, come con degli amici incontrati per caso sul traghetto da cui è difficile separarsi al porto verso destinazioni diverse.
(Aggiungi la casualità di ben cinque persone che conosco personalmente nei ringraziamenti: 6 gradi di separazione, come diceva qualcuno, o forse meno… Valentina Smamma Diana, aspettami che il 21 novembre vengo a Torino e, se ti va, ci conosciamo).

fabianasargentini@alice.it