Dal 2016 è entrata in vigore la riforma del codice sociale (Sgb II) firmata dall’allora ministro del Lavoro, la socialdemocratica Andrea Nahles. La legge non apporta cambiamenti strutturali all’impianto Hartz del 2005. La norma definita Rechtsvereinfachungsgesetz, letteralmente «semplificazione giuridica», amplia la casistica di una categoria specifica di reati contro lo stato. Quella di sozialwidriges Verhalten, in italiano comportamento anti-sociale.

SI TRATTA DI UN CONCETTO già presente nelle riforme Hartz entrate in vigore da oltre un decennio. Ma prima del recente restyling non era facile per i Job Center applicarne la lettera. Nella vecchia dicitura infatti veniva definito anti-sociale chi, con coscienza, dilapidava il suo patrimonio rendendosi colpevole dell’indigenza che lo portava a richiedere gli aiuti statali. A fronte di questo comportamento il Job Center poteva decidere di continuare a fornire la prestazione di denaro ma trasformarla da benefit a prestito, trasformando il beneficiario, reo di anti-socialità, in un debitore. Tuttavia non era facile per i centri per l’impiego dimostrare che il beneficiario avesse speso in maniera sconsiderata i suoi averi, per questo la categoria era in disuso.

LA RIFORMA DEL 2016 ha ampliato il 34esimo paragrafo del Sozialgesetzbuch II, quello che definisce il comportamento antisociale, prevedendo una casistica più ampia di condotte. Dal 2016, «Anti-sociale»è considerato chi, attraverso il suo comportamento «mantiene inalterato, aumenta oppure semplicemente non diminuisce lo stato di necessità che lo spinge a richiedere il contributo statale».

È ANTI-SOCIALE chi viene ritenuto colpevole della propria povertà. In una circolare interna di istruzioni per l’uso della nuova normativa fornita dall’Agenzia Statale per il Lavoro vengono elencati alcuni esempi di sozialwidriges Verhalten. Una persona che rifiuti un offerta di lavoro perché troppo usurante ad esempio; una madre single che non voglia indicare l’identità del padre naturale del bambino e impedisca in tal modo al Job Center di contattarlo per richiedere che contribuisca al mantenimento. Il sistema può punire questi comportamenti chiedendo indietro il denaro erogato o applicando sanzioni che decurtano il sussidio. La prima ammonizione è una riduzione del 30% per tre mesi. L’applicazione reale di questa nuova normativa incontra ancora delle resistenze.

L’ESTATE SCORSA la Corte di Brema ha sentenziato a favore di un uomo di 59 anni a cui il Job Center ha chiesto indietro 2.600 euro. All’uomo era stata ritirata la patente dopo un fermo di polizia durante il quale non aveva superato l’alcol test. Senza patente non aveva potuto continuare il mini-job nel quale era impiegato come autista dovendo chiedere un aumento del sussidio per alcuni mesi. La Corte ha dato ragione all’uomo e ha stabilito che non esiste un collegamento evidente tra l’infrazione fatta nel tempo libero e la necessità di assistenza economica.