Insieme a Peter Parker/Spider-Man – che faceva capo al «team» Ironman – Ant-Man, l’«uomo formica», era quasi il sidekick comico della squadra guidata da Capitan America in Civil War, il personaggio che alleggeriva la tensione della cupa sfida «fratricida» tra gli Avengers, destinata a spezzare la grande famiglia di supereroi Marvel.
Le avventure dell’ex ladro galeotto Scott Lang e del suo alter ego supereroico Ant-Man sono infatti da subito – il suo «debutto» nel Marvel Cinematic Universe è del 2015 nel film omonimo diretto da Peyton Reed a lui dedicato – improntate alla pura commedia, ben oltre quell’ironia costante che è il marchio di fabbrica dei supereroi Marvel al cinema, anche se più convenzionale rispetto alla comicità «psichedelica» di un film come Thor: Ragnarok di Taika Waititi.

La stessa formula è applicata a Ant-Man and the Wasp, dove alla regia torna Peyton Reed e dove a Scott Lang (Paul Rudd) si affianca Hope Van Dyne/The Wasp (Evangeline Lilly), già presente nel primo film ma che qui veste anche lei la tuta capace di ridurre le sue dimensioni a quelle, appunto, di una formica – o di ingrandirsi a dismisura.
La storia comincia con Scott Lang impegnato a scontare gli ultimi giorni agli arresti domiciliari, in seguito proprio alla sua battaglia campale, a Berlino, al fianco del «fuorilegge» Capitan America in Civil War. Ma Hank Pym (Michael Douglas) – il geniale scienziato che ha inventato la tuta in grado di rimpicciolirsi e il siero che riduce a dimensioni addirittura subatomiche anche la materia organica – e sua figlia Hope pensano di aver trovato un modo per salvare Janet Van Dyne (Michelle Pfeiffer): la madre di Hope e moglie di Hank che trent’anni prima, quando erano lei e il marito a indossare le tute di Ant-Man e The Wasp, per salvare migliaia di vite da un missile si era rimpicciolita al punto da entrare nel «Regno quantico» – sorta di universo parallelo in cui il funzionamento dello spazio-tempo è stravolto rispetto al nostro mondo.

In Ant-Man Scott era riuscito a fare ritorno da quell’altrove ritenuto senza via di fuga, e ora Hank e Hope vogliono il suo aiuto per andare in cerca di Janet – anche se questo significa violare il suo regime di libertà vigilata.
Come in Salto nel buio di Joe Dante – che Reed omaggia apertamente – la sfida consiste dunque nelle minacce poste dal regno dell’infinitamente piccolo – mentre il lato dark del film è legato all’antagonista degli eroi, Fantasma, e alla sua triste origin story.
Risvolto cupo che non scalfisce però l’essenza comica di Ant Man and the Wasp, in cui con il pretesto della tuta malfunzionante di Scott vengono costruite anche delle situazioni comiche vintage, dove nel trionfo di computer grafica che caratterizza i film di supereroi si fa ricorso anche a illusioni ottiche «d’altri tempi» come la prospettiva forzata e alle dinamiche da slapstick comedy, oltre a quella «parlatissima» tipica dei supereroi Marvel, che ne conseguono quando Scott viene ridotto alla dimensione di un bambino delle elementari.

Non è un caso che il film di Peyton Reed, anche se sconta una struttura più disomogenea rispetto al suo predecessore del 2015, sia il primo dell’universo Marvel a uscire dopo il campione assoluto di incassi Avengers: Infinity War – al cui finale straziante fornisce un contrappunto spensierato, ma non per questo meno avvincente e fantasioso.