Insieme ai traumi pregressi e alle violenze subite durante il viaggio, il disagio psichico dei migranti nasce anche nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) una volta “ospiti” di un sistema emergenziale. Il fenomeno del disagio mentale dei richiedenti asilo è gravemente sottovalutato, avverte Medici senza frontiere nel rapporto «Traumi ignorati» e frutto di una ricerca quali-quantitativa condotta nei Cas di Roma, Trapani e Milano e dei dati raccolti durante le consultazioni nei Cas di Ragusa dai team di Msf.

«Il 60% dei soggetti intervistati nell’ambito delle attività di supporto psicologico di Msf tra il 2014 e il 2015 presentava sintomi di disagio mentale connesso a eventi traumatici subìti prima o durante il percorso migratorio», spiega Silvia Mancini, esperta di salute pubblica per Msf e curatrice dello studio.
Sequestri, lavoro forzato, violenza sessuale, detenzione, tortura, come emergono ricorrenti dai colloqui, sono tutti fattori di rischio per la salute mentale. La probabilità di sviluppare disturbi psicopatologici è 3,7 volte superiore tra gli individui che hanno subito eventi traumatici rispetto a chi non ne ha subiti. Ma il dato che più fa riflettere è quell’87% dei pazienti che dichiara di soffrire per le difficoltà incontrate nel vivere nei centri. Dove isolamento, paura del futuro, vuoto occupazionale, attesa infinita dei documenti e i mesi trascorsi senza svolgere alcuna attività sono fenomeni aggravanti del disagio mentale. Tra i 199 pazienti presi in esame da Msf nella provincia di Ragusa, il 42,2% presentava infatti disturbi compatibili con il disordine da stress post traumatico (PTSD), seguito da un 27% affetto da disturbi dovuti all’ansia.

Una popolazione migrante, sempre più vulnerabile, che ha subito numerose violenze durante il viaggio, è ancora oggi oggetto di un’accoglienza ferma ai bisogni primari: materassi, pasti e Tv in strutture poco preparate a identificare un disagio psichico. Nei centri sono assenti le figure professionali specializzate nella psicologia dei traumi e capaci di fare fronte a ragazzi che presentano rabbia o fobie, così come sono assenti i mediatori culturali e specifici protocolli d’intesa tra Asl, opedali e questure per la presa in carico organica dei pazienti.

La patologia mentale viene diagnosticata solo quando si trova ormai in un fase acuta, con un eccessivo ricorso a Spdc, pronto soccorso e Tso. E questo anche in assenza di specifiche patologie psichiatriche, di fronte a disagi contingenti, nati magri da richieste rimaste inattese, o dal respingimento della domanda d’asilo. Occorre, chiede Msf, uscire dall’approccio emergenziale, rafforzare i servizi interni alle strutture e quelli esistenti sul territorio; monitorare i centri e la qualità dei servizi erogati; formare il personale. Per uscire dal limbo psichico dove sono costretti i migranti.