Avvolto nel tricolore palestinese, il feretro con la salma del ministro dell’Anp e dirigente di Fatah Ziad Abu Ein, è arrivato ieri alla Muqata poco dopo mezzogiorno. A riceverlo c’erano oltre al presidente Abu Mazen e al premier Rami Hamdallah, un picchetto d’onore e la banda nazionale che ha suonato l’inno palestinese. Dopo le preghiere la bara è stata caricata su un furgone aperto e ha raggiunto il cimitero di Al-Bireh per la sepoltura. Ad accompagnarlo alcune migliaia di persone, che hanno scandito slogan contro Israele e invocato rappresaglia. In quei momenti a Gerusalemme Est la polizia si lanciava sulla centrale Via Salah Edin all’inseguimento di gruppi di palestinesi intenzionati a protestare per la morte di Abu Ein avvenuta due giorni fa nelle campagne di Turmus Aya dopo aver subito l’aggressione di soldati israeliani. Proteste sono avvenute anche in diverse località della Cisgiordania.

 

Restano forti tra i palestinesi rabbia e sdegno per la sorte subita da Abu Ein, responsabile per il dossier del Muro e delle colonie israeliane, mentre manifestava assieme ad altre centinaia di persone contro la confisca di terre palestinesi in apparenza da assegnare all’espansione di una colonia israeliana. Un rischio avvertito ancora di più dopo l’inchiesta svolta dal ricercatore israeliano Drod Ektes, pubblicata nei giorni scorsi, che rivela come ampie porzioni di terra cisgiordana confiscate dall’esercito israeliano per farne poligoni di tiro e aree di addestramento militare, vengono poi messe a disposizione degli insediamenti colonici. Sulle terre di Turmus Aya, Abu Ein e gli altri manifestanti intendevano piantare degli alberi, in un estremo tentativo di impedirne la requisizione.

 

Come era prevedibile gli esperti palestinesi e quelli israeliani hanno raggiunto conclusioni molto diverse al termine dell’autopsia effettuata mercoledì sera sul corpo del dirigente palestinese. Per il ministero della sanità israeliano la morte non sarebbe stata provocata da colpi ricevuti al petto da Abu Ein ma dal blocco dell’arteria coronarica dovuta ad un’emorragia sottostante uno strato di placca aterosclerotica. Ammettono però che il sanguinamento potrebbe essere stato causato dallo stress. E riferiscono di una lieve emorragia e una pressione locale che sono stati trovati sul collo di Abu Ein, con ogni probabilità conseguenza dell’aggressione compiuta da un agente della guardia di frontiera israeliana che, lo mostrano le immagini messe in rete da molti dei presenti alla manifestazione, aveva afferrato alla gola il ministro. In sostanza, dicono i medici israeliani, Abu Ein si era sottoposto a un forte stress partecipando a una manifestazione e ha messo a rischio il suo cuore malandato.

 

Ai palestinesi al contrario appare evidente che lo “stress” sia quello causato dall’aggressione fisica subita e ribadiscono che Abu Ein è stato colpito al petto con il calcio di un mitra. «Riteniamo Israele completamente responsabile per la morte di Ziad Abu Ein che stava solo piantando alberi di ulivo insieme ad attivisti internazionali e palestinesi», ha protestato il capo dei negoziatori palestinesi Saeb Erekat. I vertici della leadership dell’Olp e dell’Anp, ha aggiunto, hanno già preso alcune decisioni per rispondere all’accaduto: presentazione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di una richiesta per la fine dell’occupazione israeliana; creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza con Gerusalemme Est come capitale; richiesta di adesione alla Corte penale internazionale (Cpi); convocazione dei contraenti della IV Convenzione di Ginevra per stabilire stabilire se può essere applicata immediatamente in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme; richiesta al segretario Onu Ban Ki Moon di una Commissione speciale sulla Palestina. Erekat ha di nuovo fatto riferimento all’interruzione del “coordinamento di sicurezza” dell’Anp con Israele. «Netanyahu – ha spiegato Erekat – non può continuare a trattare l’Autorità nazionale palestinese come se non fosse una vera autorità e avere un’occupazione a costo zero».

 

Eppure non pochi palestinesi dubitano dell’intenzione dei dirigenti dell’Anp di interrompere la cooperazione tra i servizi segreti delle due parti. E a molti appaiono ancora poco determinati e fortemente condizionati dalle pressioni statunitensi l’iniziativa già in corso da mesi al Consiglio di Sicurezza per lo Stato palestinese e l’adesione della Palestina a pieno titolo alla Cpi. I vertici palestinesi procedono con il freno a mano tirato e sembrano accontentarsi dei riconoscimenti simbolici dello Stato di Palestina giunti di recente da alcuni parlamenti europei, che non cambiano nulla sul terreno. L’ultimo c’è stato due giorni da parte dell’assemblea legislativa irlandese.