La pausa estiva sta per finire. Una settimana o poco più e l’agenda politica sarà di nuovo piena fino all’orlo. Almeno per quanto riguarda il capitolo riforme e riformette. Sulla pagina a fianco, quella che dovrebbe elencare le misure economiche, invece regna il vuoto.

La riforma dell’articolo18 forse si farà e forse no, comunque non servirebbe a niente e lo sanno tutti. Un puro trofeo da sventolare, utile soprattutto all’Ncd di Angelino Alfano per dimostrare di non eistere solo per evitare l’onta della disoccupazione ai suoi massimi esponenti. L’ipotesi più probabile resta quella di una definitiva cancellazione di fatto ma non di nome: rovesciato come un guanto non l’ormai esangue articolo ma l’intero Statuto dei lavoratori.

La mazzata sulle pensioni forse arriverà e forse no, ma è difficile immaginare davvero un fiero braccio di ferro tra il ministro del lavoro Giuliano Poletti e Matteo Renzi. L’ipotesi dell’intervento circola da un mese, e guarda caso è proprio identica a quella cui continua ad alludere (lo ha fatto anche ieri in un’intervista ad Avvenire) il sottosegretario Pierpaolo Baretta. Lui preferisce parlare di pensioni nette «non al di sotto dei 2000 euro» invece che lorde di 3000. Non è che la sostanza sia diversa però. Baretta non si guadagna da vivere al ministero del Lavoro ma a quello dell’Economia, ed è al Mef che stanno già alacremente procedendo con le simulazioni degli eventuali introiti nei prossimi anni.

Se tensione c’è stata tra il ministro del Lavoro e il presidente del consiglio non è stata sul merito della faccenda, ma più probabilmente sull’intempestività dell’annuncio. Certe cose vanno fatte per bene, specie sul piano della comunicazione. Una cosa è «salvare» la scatola vuota dell’articolo 18 e nelle more annunciare un «piccolo sacrificio» dei fortunati beneficiari di «pensioni d’argento». Tutt’altra buttara là così, come una bomba a metà d’agosto.

Ma soprattutto di queste faccende Matteo Renzi non ha alcuna voglia di parlare, chiarire, discutere, litigare. Il suo è un governo che vive alla giornata. Chi può mai prevedere oggi cosa sarà necessario fare per arrivare vegeti al prossimo gennaio, quando la nuova commissione europea si sarà insediata e forse, se le stelle ci danno una mano, l’intera Europa cambierà rotta? Non lo sa nessuno, meno di tutti il presidente del consiglio, e cosa gli passa per la mente a Giuliano Poletti di diffondere così il panico?

Troppe sono le variabili in gioco: cosa farà Forza italia, fino a che punto spingerà il suo tentativo di entrare apertamente nella maggioranza? Quanto s’impunterà l’Ncd, a cui un successo di bandiera da qualche parte bisognerà pur concederlo, che per loro è questione di vita o di morte? Quali mercanteggiamenti bisognerà concludere sul mercato sempre attivo e incandescente della legge elettorale? Ma soprattutto, quali saranno le cifre vere, i fondi da recuperare in qualche spericolato modo, essendo altamente improbabile che i 16 miliardi già trovati ma solo sulla carta si trasformino davvero in denaro sonante?

In queste circostanze, lo sanno tutti tranne Poletti (e Pierpaolo Baretta), la cosa migliore è starsene zitti zitti, navigare a vista, non compromettersi neppure con una sillaba di troppo. E aspettare le circostanze favorevoli per muoversi, se proprio necessario, sollevando il meno polverone possibile. In queste circostanze, il carrozzone delle riforme, tanto fragoroso quanto inutile e privo di conseguenze nefaste sull’immediato, anzi utilissimo per rendersi facilmente popolari, a palazzo Chigi lo aspettano come la manna dal cielo. Poi, con tutti gli occhi puntati sulla fondamentalissima riforma del Senato, si deciderà come procedere. E’ così che si fanno le cose, ministro Poletti!