Scrittura e movimento è una (ri)lettura necessaria per tutti coloro che desiderano che trasformazione del linguaggio e trasformazione sociale possano battere ancora lo stesso ritmo, respirando assieme. È un agile libro di Franco Berardi Bifo, che a quarantotto anni dalla prima edizione pubblicata da Marsilio, viene ora rieditato da ombre corte (pp.107, euro 10), con la cura di Nicolas Martino, che ne contestualizza i temi con una precisa e utile postfazione.

SEGUIRE LA TRAIETTORIA del pensiero di Bifo dai primi anni Settanta ad oggi non è compito facile: ripensamenti, scosse, deviazioni, riprese, sperimentazioni su sentieri apparentemente divergenti fanno parte integrante delle sue analisi e della sua riconoscibilissima scrittura, ci aiuta la nuova introduzione dell’autore, che scrive: «Quello che decenni più tardi possiamo chiamare cognitariato emerge in questo libretto come soggetto di una scrittura che non predica la lotta, ma la pratica, che non osserva e rappresenta il lavoro, ma lo vive e lo rifiuta dall’interno. È con questo libretto che cominciai a ragionare sui temi che si svilupparono poi nel 1976 e 1977 con la pratica sovversiva della scrittura collettiva radiofonica, e continuarono poi a svilupparsi nei decenni successivi in un confronto sempre più aperto tra la pratica sociale, l’immaginazione politica e la creazione di ordigni linguistici».

NEL 1974 già esistevano delle divergenze all’interno del gruppo dei teorici dell’operaismo, di cui Bifo faceva parte. Quando Bifo scrive Scrittura e movimento ha ventiquattro anni, è il più giovane tra questi teorici, il più attento alla trasformazione dei linguaggi e dei media, e cerca di individuare un’«estetica operaista», ossia: critica radicale del vittimismo letterario pasoliniano e del passatismo tardo-realista che dominava nel pensiero della sinistra ufficiale; critica del formalismo tardo-avanguardista (le cosiddette neoavanguardie): «andavo convincendomi che una critica letteraria intenta solo ad osservare il suo oggetto, l’opera, il testo, non poteva aiutarci molto a uscire dal Novecento dell’avanguardia né dal tardo Ottocento del populismo» (come insegnava Asor Rosa in Scrittori e popolo).

OCCORREVA «far emergere il soggetto della letteratura, e per essere precisi la parola letteratura andava proprio sostituita da una parola più materialista, la parola scrittura. Qual è il soggetto della scrittura che va emergendo dalle lotte operaie del post Sessantotto, che va emergendo da rifiuto del lavoro?». Bifo sostiene che la frequentazione dei giovani operai della Mirafiori gli fornì l’energia immaginativa per scrivere questo testo, e l’energia che lo portò – con un gruppo di compagni – a inventare il trasversalismo creativo di A/traverso.
Questo libro ha l’energia della gioventù e della pantoclastia che non temono di provocare, di rompere. Bifo, con «corrosiva critica marxiana» (sottolinea Nicolas Martino), con cognizione e rigore, partendo dall’estetica materialista di Galvano Della Volpe, analizza non solo i limiti del neorealismo, la pericolosa nostalgia pasoliniana, il rigore di Franco Fortini, lo sperimentalismo formale del Gruppo 63, ma anche un’altra opera innovativa e importante del pensiero radicale.
Si tratta di L’alienazione artistica, uscita nel 1971, di Mario Perniola (forse il maggior teorico italiano di influenza situazionista, assieme a Gianfranco Sanguinetti e Gianni-Emilio Simonetti). Accusa: idealismo. La differenza tra Bifo e Perniola è rinchiusa tra la parola d’ordine operaista «dentro e contro» e il «fuori e contro» situazionista. Eppure il testo di Perniola (che meriterebbe rilettura e ripubblicazione) indicava quella prospettiva «al di là dell’arte», l’arte come categoria storica, il superamento dell’arte, non distante dalla guerriglia comunicativa messa in pratica successivamente da Radio Alice e A/traverso. Berardi nel corso degli anni ha continuato a citare quel libro di Perniola come testo importante con cui confrontarsi.

COSA CI RIMANE di quell’avventura di scrittura e di movimento? I romanzi di Balestrini, come Vogliamo tutto, la scrittura operaia di Guerrazzi e Brugnaro, quella ribelle di Fantazzini e Notarnicola, quella di Chi ha ucciso Majakovskij? dello stesso Bifo, quella del Boccalone di Palandri. No, non è tanto nelle opere che si ritrova quel sapere, ma nel movimento, nella scrittura collettiva, in tutti quei momenti in cui sperimentazione estetica e trasformazione politica hanno cospirato assieme.
Nei cinquant’anni che separano la prima edizione di Scrittura e movimento dall’oggi non sono stati pochi quei momenti, tra cui quelli del punk, delle posse, dell’esperienza di Luther Blissett. Oggi quali sono le scritture e quali i movimenti? E soprattutto quali sono i momenti in cui scritture e movimenti cospirano assieme? A quasi mezzo secolo dalla sua prima pubblicazione, la lettura del libello di Bifo ci aiuterà a individuarli.