Si leggono spesso, di recente, i racconti di genealogie femminili, ambientati nel ‘900, in ambito rurale, scritti facendo ricorso all’uso del dialetto: anche Le deboli, di Flora Fusarelli, per 4 Punte Edizioni (pp. 124, euro 12,90), si inscrive in questo interessante contesto narrativo. La necessità di riscrittura di miti o, nel caso specifico, di storie ataviche, è, come sostiene Hélène Cixous, un bisogno sacrosanto da parte delle donne. Questo interesse per dinamiche sociali tragicamente ingiuste e di sottomissione nasce allora per il desiderio di trasformare il passato, di ricreare con l’immaginazione esperienze di emancipazione, quasi impossibili nella realtà storica narrata.

LE TRE PROTAGONISTE di questo romanzo sono una madre, una figlia, una ragazza: tre donne legate da un vincolo non solo parentale ma anche di reciproco accudimento e affetto. Vincenzina è sposata con Nino: a costringerla a questa unione non voluta è stato suo padre, un uomo violento che ha rovinato la vita a lei e a sua madre Marietta, che potremmo letteralmente definire una female breadwinner. Marietta ha un forno, infatti, che diventa la fonte principale di sostentamento per sé e per Vincenzina, infatti come suo padre, anche Nino è dedito alla violenza e all’alcol, invece che al lavoro.

Il forno di nonna Marietta è il luogo in cui Anna trascorre la maggior parte della sua infanzia. Marietta la porta lì con sé tutti i giorni, dimostrandole con la sua vicinanza silenziosa l’amore profondo che prova per lei. Né Vincenzina né sua madre, infatti, sono molto avvezze a esprimere il proprio affetto con parole o abbracci, come spesso accade alla gente di montagna, ma il loro attaccamento nei confronti di Anna è profondo e assoluto.

IL ROMANZO è suddiviso in capitoli che hanno tutti come titoli i nomi dei personaggi: si tratta di un racconto infatti incentrato sulle diverse vicende che connotano il panorama umano di un villaggio. Le deboli è ambientato in un paesino dell’entroterra abruzzese e molto adeguata è per questo la scelta di intervallare la narrazione in terza persona con dialoghi in dialetto. Il quadro che ne emerge è tragico: le donne come Vincenzina e Marietta sono costrette a subire le scelte dei loro mariti e dei loro padri e questi uomini non si degnano neanche di meritarsi, in qualche modo, questa orribile autorità: non lavorano. Anna, d’altra parte, pagherà sulla sua pelle l’illusione di poter scegliere per se stessa, di poter amare seguendo il proprio desiderio.

Il romanzo è anche questo: un racconto sull’amore, in particolare sulla forza distruttrice dell’amore infelice, quello di Vincenzina e sor Luigi, di Anna e Lino. L’unico rimedio sembra dirci Fusarelli alle ingiustizie che vengono perpetrate sul corpo e sui sentimenti delle donne è l’unione femminile, nel caso specifico la relazione fra le tre consanguinee. Molto interessante, infine, il punto di vista dell’autrice sulla debolezza: «in qualunque modo decidiamo di fare le cose, deboli non lo siamo mai, perché già soltanto per decidere la vita da prendere, qualunque essa sia, ci vuole forza».