Ci sono voluti oltre due anni di lavoro per mettere a punto la riforma dell’ordinamento penitenziario, a 42 anni dall’entrata in vigore delle attuali norme sulla detenzione, ormai obsolete, e occorrono appena due Consigli dei ministri ad hoc per evitare di buttarla all’aria. L’impegno di 200 esperti divisi in 18 tavoli che hanno dato vita agli Stati generali dell’esecuzione penale voluti dal ministro di Giustizia Andrea Orlando sarà stato vano, se l’iter non sarà concluso entro le elezioni del 4 marzo.La riforma infatti sarà praticamente archiviata per sempre, se diamo per certo che il nuovo parlamento sia ancor meno disposto dell’attuale a far tornare lo Stato italiano nel solco della legalità internazionale, in materia di diritti umani.

Per questo, per richiamare l’attenzione sul «fazzoletto strettissimo di giorni prima delle elezioni» che ormai è rimasto per portare a casa la riforma, la radicale Rita Bernardini – che dal 20 gennaio scorso ha ripreso lo sciopero della fame insieme a 8.800 detenuti e 175 cittadini – ha indetto ieri una conferenza stampa nella sede del Partito Radicale nonviolento, transnazionale e transpartito insieme al presidente della Commissione Affari sociali della Camera, Mario Marazziti, a Ilaria Cucchi, Irene Testa e Elisabetta Zamparutti, del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa.

Un’iniziativa nonviolenta, quella di Bernardini, che vuole soprattutto andare in aiuto dello Stato italiano, già condannato più volte dalla Corte europea dei diritti umani. Ma il tempo stringe: la legge delega è stata approvata dal Parlamento nel giugno scorso e i testi dei quattro decreti delegati – redatti da commissioni nominate appositamente e sui quali c’era il parere positivo del Garante dei detenuti Mauro Palma – sono rimasti per settimane a Palazzo Chigi, in attesa di essere approvati in Cdm, malgrado l’insistenza dello stesso Orlando.

Dei quattro decreti, solo il primo è stato varato dal Cdm, quello relativo alle pene alternative. Ma dopo l’ok della Conferenza Stato-Regioni, la scorsa settimana le commissioni di Camera e Senato hanno sollevato molte obiezioni, nei loro pareri che in ogni caso non sono vincolanti. «In particolare – spiega Bernardini – il Senato ha bocciato totalmente la riforma dell’articolo 4 bis che precludeva ad alcune tipologie di detenuti l’accesso ai benefici».

La procedura prevede ora che il governo debba dare una risposta a questi pareri e decidere se accoglierli, in quale misura, oppure no. «Se, come noi auspichiamo – continua Bernardini – il governo farà subito le sue controdeduzioni, le commissioni hanno fino a 10 giorni di tempo per rispondere, e a quel punto il Cdm può approvare il testo che preferisce del decreto legislativo, quello originario o uno corretto».

In sostanza, come hanno sottolineato i Radicali rivolgendosi direttamente al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, sono necessari almeno altri due Cdm dedicati alla riforma: «Uno da tenersi questa settimana, in modo da lasciare i dieci giorni di tempo utili alle commissioni, e poi uno da tenersi il 22 o 23 febbraio per l’adozione definitiva dei testi».

Purtroppo c’è poco da sperare, invece, per gli altri decreti delegati che non sono stati ancora varati dal Cdm, quelli riguardanti l’ordinamento penitenziario minorile, la giustizia riparativa, il lavoro in carcere e l’affettività, che, come spiega Bernardini, «non vuol dire solo sessualità ma telefonate, colloqui, vicinanza geografica del detenuto alla famiglia», tutti fattori a tutela soprattutto dei figli dei reclusi. La sicurezza si fa anche così.