Gli anni Novanta: non così vicini da non essere inseriti in un libro di storia dell’arte per gli istituti superiori, ma neanche così lontani da aver avuto la possibilità di avviare su di essi un processo di comprensione critica. Sfogliando un manuale generico, in Italia, Maurizio Cattelan e Vanessa Beecroft sono gli artisti più importanti e, del resto, tutt’ora riconosciuti. Eppure il panorama è ben più complesso e variegato, anche perché quel decennio ha una sua peculiarità: la relazione, che mette in crisi non soltanto lo statuto dell’opera d’arte, cosa del resto perpetrata ben precedentemente, ma altresì i luoghi deputati al fare arte. Non solo musei, gallerie, studi/atelier, anche lo spazio urbano e quotidiano entra a pieno titolo nelle pratiche di allora. Nascono così, a macchia di leopardo, diverse realtà autonome e indipendenti che rendono la penisola un laboratorio all’aperto, creando un cortocircuito di matrice situazionista e concettuale che stravolge il sistema dell’arte. Molti artisti diventano degli «attraversatori» di strade, di codici, di esperienze. Del resto, la cortina di ferro è caduta, internet 1.0 è lo strumento con il quale si creano i forum. Siamo in rete, in un mondo globalizzato.

Roma
Agli inizi degli anni Novanta, i musei di arte contemporanea italiani si possono contare sulle dita di una mano, oggi – moltiplicatisi – sono i fiori all’occhiello delle governance nazionali e locali. Insieme a questi, gli eventi fuori dai musei e dalle fiere sono infiniti, così come sono diventati a pieno titolo parte del sistema i cosiddetti «spazi indipendenti», luoghi ibridi che si sostengono grazie all’autofinanziamento o alla partecipazione a bandi pubblici, e fanno mostre, progetti, residenze. Ma esiste una dignità della prassi che opera da trent’anni. Non è tutto particolarmente sperimentale quello che oggi appare come cool, e allora occorre riavvolgere il nastro e iniziare a sbobinare.

Nell’ultimo quarto del secolo scorso si può tracciare una linea rossa che attraversa la penisola e che afferma un modello relazionale/comportamentale, grazie al quale il quotidiano irrompe nelle diverse pratiche connesse all’uso del corpo dell’artista, dei corpi degli altri e di più medium.

A Roma, il Centro Studi Jartrakor, fondato da Sergio Lombardo, porta avanti le ricerche tra arte e psicologia, ed è in questo contesto che si forma negli anni Ottanta la costola romana del Gruppo di Piombino, originariamente fondato da Salvatore Falci, Stefano Fontana, Pino Modica, a cui si aggiungono appunto i romani Cesare Pietroiusti e Domenico Nardone. Sotto l’egida di quest’ultimo nascono ben due gallerie, Lascala e Galleria Alice, ma sarà probabilmente la Galleria Primo Piano di Maria Colao a distinguersi nel decennio successivo per aver sostenuto le ricerche, tra i tanti, dello stesso Pietroiusti e del genovese Luca Vitone e ad aver posto attenzione al neo-concettuale americano.

Gli anni Novanta a Roma brulicano di iniziative volte alla sperimentazione, dopo infatti la chiusura della galleria, Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier fondano l’associazione Zerinthya che non solo sosterrà i primi passi del progetto Oreste nel 1997, ma agli albori del nuovo millennio daranno vita a Ram, una piattaforma dedicata in particolare alla ricerca sonora. Più o meno a metà decennio gruppi come Disordinazioni e I Giochi del Senso e/o Non Senso, tra cui si ritrova l’artista delle smorfie Pino Boresta, assaltano la città con scorribande estemporanee, mentre Stalker è un collettivo – formato per lo più da architetti – che compie ricerche e azioni attraversando il territorio.

Milano
Spostandoci a Milano, la situazione si presenta altrettanto fertile, anche qui negli anni Ottanta vi erano state iniziative apripista come l’occupazione della fabbrica Brown Boveri da parte di un gruppo di artisti che gravitava intorno a Corrado Levi, tra cui Umberto Cavenago e Stefano Arienti, e la nascita di Care Of a Cusano Milanino grazie alla volontà di Mario Gorni e Zefferina Castoldi, il cui archivio rimane ancora oggi un punto di riferimento per i materiali audio-visivi degli ultimi trent’anni di storia dell’arte italiana e non solo. Dal 1989 al 1993, il gruppo degli artisti di via Lazzaro Palazzi (tra cui Mario Airò, Liliana Moro, Stefano Dugnani, Bernhard Rudiger, Adriano Trovato – quasi tutti allievi in Accademia di Luciano Fabro) si ritrova in un fabbricato e parallelamente fonda la rivista Tiracorrendo, in cui ogni artista era invitato a fare ciò che voleva su un foglio bianco.

Nel 1991 è l’ora di Viafarini, il cui spazio, ancora attivo, è concepito fin da subito come una project room. Le gallerie meneghine non rimangono indietro e si aprono a questa scena, non solo Massimo De Carlo, ma soprattutto Raffaella Cortese, il bresciano Massimo Minini, insieme a molte altre che non vi sono più, come Fabia Calvasina, Rossana Ciocca e soprattutto Emi Fontana, dove ritroviamo Moro e Vitone, insieme ad Alessandra Spranzi e Monica Bonvicini, e il duo Arpiani-Pagliarini, famoso allora per le incursioni nei programmi televisivi, come Forum. Centrale in questi anni anche l’azione di Premiata Ditta (Anna Stuart Tovini e Vincenzo Chiarandà) che nel 1995 dà origine alla piattaforma UnDo.Net.

Bologna
A Bologna si ricorda già dagli anni Ottanta l’attività di Mauro Manara nella Saletta Comunale di Castel San Pietro Terme e le mostre da lui curate negli anni successivi, tra cui Eccentrica insieme a Gino Gianuizzi, fondatore e gestore della Galleria Neon, spazio ormai chiuso ma che per almeno trent’anni è stato il cuore pulsante della sperimentazione artistica bolognese. E ancora, breve ma intensa, l’attività del Graffio di Anteo Radovan e per altri aspetti dell’indimenticabile Link di via Fioravanti. Tanti artisti si muovono all’interno di questa costellazione trasversalmente a molte delle situazioni già indicate: Giancarlo Norese, Emilio Fantin, Annalisa Cattani, Tommaso Tozzi, Cesare Viel, Eva Marisaldi, Sabrina Mezzaqui, Sabrina Torelli, Enzo Umbaca, Fabrizio Basso, Silvia Cini, Ferdinando Mazzitelli, Marco Vaglieri, Fabrizio Rivola, Adriana Torregrossa e tanti altri compresi critici e curatori come le a.titolo che da allora si occupano di progettazione artistica negli spazi urbani; attive a Torino, dove una di esse – Giorgina Bertolino – gestiva anche la programmazione della Galleria Luigi Franco, sono state le promotrici, in quegli anni, del primo e unico archivio del Situazionismo in Italia. Oreste, collettivo/non collettivo, di quasi trecento persone – nato nel 1997 a Paliano e che avrà una delle sue sedi maggiormente operative a Bologna – nel 1999 sarà invitato da Szeemann alla Biennale di Venezia. Con questo evento si chiude un decennio ricco di cui l’effettiva portata attende ancora di essere indagata.