Sono stati avvistati da un aereo di pattuglia dell’operazione Sophia ieri mattina intorno alle 11: un centinaio di migranti aggrappati a un gommone semisommerso che, lentamente, affondava a quaranta miglia dalla costa al largo di Gasr Garabulli, a est di Tripoli.

In 86 sono stati salvati dalla nave Diciotti della Guardia costiera italiana, otto i cadaveri recuperati ma il bilancio dei dispersi rende molto più pesante la conta finale. Hanno dato notizie del naufragio anche due Ong che ancora pattugliano il Mediterraneo centrale, la tedesca Sea Watch e la spagnola Proactiva open arms.

«ALMENO 25 LE PERSONE morte nell’incidente anche se i numeri esatti non sono ancora chiari. L’operazione è ancora in corso», hanno twittato gli attivisti tedeschi nel primo pomeriggio. Dalla nave spagnola altri particolari: «Naufragio davanti alle coste della Libia. Dopo ore in acqua, salvate dalla Guardia costiera italiana 84 persone, decine i dispersi che diventeranno morti senza sepoltura. Comincia il conteggio degli annegati nel 2018 nel Mediterraneo». Le prime stime davano il gruppo stipato sul gommone intorno alle 150 persone ma le notizie ieri erano ancora frammentarie.

DAL PRIMO GENNAIO sono stati recuperati in mare e indirizzati in Italia 417 migranti, erano 333 fino al 4 gennaio. Nello stesso periodo dell’anno scorso furono 729 le persone soccorse. Nel 2017 almeno 3.116 migranti hanno perso la vita nel Mediterraneo. Sono invece riusciti a sbarcare in Italia in 119.369, il 34,24% in meno rispetto al 2016. Il calo è iniziato a luglio, dopo gli accordi siglati con Tripoli: da allora la Guardia costiera libica ha iniziato a pattugliare le acque, riportando indietro chi tentava la traversata per rinchiuderli in centri gestiti dal governo o dalle milizie.

Quattro Ong hanno deciso di lasciare le operazioni di Ricerca e soccorso (Medici senza frontiere non ha firmato il protocollo imposto dal Viminale alle organizzazioni non governative, Moas ha scelto di dedicarsi ad altre aree di crisi, le altre non avevano navi in grado di affrontare le tempeste invernali), attualmente operano in tre: alle due già citate si aggiunge la francese Sos Méditerranée. L’impegno dei libici è progressivamente aumentato tanto che lo scorso dicembre gli arrivi in Italia sono diminuiti del 73% rispetto allo stesso mese del 2016.

A DICEMBRE AMNESTY International a Bruxelles aveva messo sotto accusa le politiche Ue in materia: «I governi europei, e in particolare l’Italia, sono complici delle torture e degli abusi sui migranti detenuti dalle autorità libiche». Amnesty ha poi precisato che almeno 500mila persone sono bloccate in Libia, dove subiscono terribili violenze, fino a finire all’asta nei moderni mercati di schiavi. L’artefice della svolta della scorsa estate è il ministro dell’interno Marco Minniti che, dalle colonne del Die Welt, ieri è tornato a difendere gli accordi con Tripoli: «Il 2017 ci ha insegnato che possiamo governare i flussi migratori, senza fili spinati o muri. Abbiamo ridotto, negli ultimi sei mesi, il numero dei nuovi arrivi al 68%. I nostri hot-spot sono vuoti. È stato evitato lo sfaldamento dell’Unione europea, abbiamo sventato i piani dei populisti». Il giornale tedesco addirittura l’incorona come «il più popolare politico del paese».

SECONDO MINNITI non ci sono ombre di nessun tipo nella gestione del dossier migranti: «L’Italia continua a lavorare con le Ong che operano nel Mediterraneo. L’accoglienza dei rifugiati continua. La Guardia costiera libica ha portato avanti 22mila operazioni di salvataggio».

E sul tema torture: «Da dieci anni il traffico di esseri umani si concentra in Libia, paese che non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra sui diritti umani. Nessuno si è mai posto la domanda di come le organizzazioni Onu e le altre organizzazioni per i diritti umani potessero operare in Libia. Anche grazie al nostro accordo ciò è stato reso possibile. Il 22 dicembre abbiamo, grazie alla Cei, organizzato un primo corridoio umanitario portando in Italia 162 fra donne e bambini».

Minniti non accenna al fatto che la Libia, in cambio del suo ruolo di gendarme del Mediterraneo, è intenzionata a chiedere all’Onu un’attenuazione delle sanzioni per aumentare gli armamenti.