Sabato 1 e domenica 2 febbraio, alla Cinémathèque Française di Parigi, il ciclo di proiezioni «Anne-Marie Miéville, ou la puissance de la douceur» sarà l’occasione per immergersi nell’opera di una fotografa, cineasta, montatrice, sceneggiatrice, scrittrice e attrice che dalla metà degli anni Settanta conduce un corpo a corpo con la parola, intesa come «atto di volontà e intelligenza» che apre un campo di forze in dialogo e in lotta. In un certo senso, Miéville si colloca con i mezzi del cinema nel solco di quella genealogia svizzera della riflessione metalinguistica che va da de Saussure a Jean-Luc Godard, suo complice e compagno a cui la stessa Cinémathèque sta dedicando una retrospettiva (fino al 1° marzo).

Con Godard, Miéville collabora a più di una decina di film, indagini nel cuore delle relazioni di coppia come Numéro deux (1975) e Si salvi chi può (la vita) (1980); monta Je vous salue Marie (1985); e firma riflessioni sui mutamenti della settima arte come Deux fois cinquante ans de cinéma français (1995) irridendo amaramente alle celebrazioni per il centenario del cinema che coincide con quello dello sfruttamento commerciale della proiezione e non con l’invenzione della macchina da presa.

ALL’ALBA del 2000, invitati dal Festival di Cannes a realizzare un corto d’apertura che vada «alla ricerca del secolo perduto», i due rispondono con De l’origine du XXI siècle (2000), altro atto di rivolta contro l’idea di celebrazione: il secolo che si chiude è quello dello sterminio di massa, «quelle horreur, qu’est-ce que c’est dégueulasse».
Insieme, Godard e Miéville analizzano le miserie della comunicazione osservandola «da sopra e da sotto», come cita il sottotitolo di Sei volte due (1976), serie di film per la televisione co-firmati. In uno dei primi episodi, Leçons de choses, si dimostra come l’atto di nominare le cose, quello che si impara alle elementari quando una rosa è una rosa e un gatto è un gatto, abbia un ruolo primario nella lotta di potere che si scatena attorno al segno nell’arena massmediatica: una linea di operai alla catena di montaggio può essere guardata come pornografia e viceversa. Il senso è dunque sempre qui e altrove come in Ici et ailleurs (1975), frutto di una collaborazione maieutica in cui Miéville catalizza un profondo ripensamento critico del cinema militante.

SONO gli anni pioneristici del video e i due hanno da poco fondato la casa di produzione e distribuzione Sonimage che si dedica esclusivamente al nuovo mezzo e alle sue possibilità tecniche. In Ici et ailleurs, le immagini girate in Palestina nel 1969-70 da Godard e Jean-Pierre Gorin per un film di propaganda mai realizzato vengono storicizzate, scomposte e ricomposte.

LA VOCE fuori campo di Miéville coglie le logiche sessiste e coloniali che impregnano il lavoro di quel «povero idiota di rivoluzionario» che è Godard quando trasforma la militante mediorientale in vedette a uso e consumo del gauchiste occidentale. Nella loro prolifica conversazione teorica e creativa, Miéville è contro-canto critico ma anche voce autonoma, una novella Diotima capace di rivelare la natura filosofica del rapporto d’amore che, come il sapere, è qualcosa verso cui si tende ma che non si realizza mai pienamente.

Accanto ai lavori a due, la Cinemathèque ripropone i cortometraggi, tra cui il delizioso Le livre de Marie (1984), e i quattro lunghi della regista attraverso un percorso all’insegna della relazione, di una dolcezza che non manca di forza, di capacità a lanciarsi tra le pieghe del non detto, di guardare in faccia la realtà dei rapporti e del loro mutare sin da Mon cher sujet (1988), ritratto di tre donne come dimensioni di uno stesso «sé» attraverso il tempo.

LA SEPARAZIONE e la gelosia entrano sempre in gioco nel minuetto dei sentimenti come in Lou n’a pas dit non (1994), storia di una coppia che ha appena deciso di separarsi e che vive il seguito del rapporto in modo asimmetrico. Con Nous sommes tous encore ici (1996) la cineasta-filosofa compone una riflessione sulle contraddizioni tra legame e libertà intrecciando gli alti e bassi di una coppia (Aurore Clément e JLG) con le meditazioni del Gorgia platonico su cosa sia una «via buona» (Bernadette Lafont è Callicle e Clément Socrate) e passi de Le origini del totalitarismo di Arendt. In Après la réconciliation (1999), due uomini e due donne esplorano le rispettive affinità elettive componendo geometrie che di volta in volta spingono ciascuno allo stremo delle forze. Prima c’è il tradimento e il pianto, poi la riconciliazione in un abbraccio: «la parola è meglio del silenzio mortale, ma dev’essere una parola intelligente». Per Miéville, la creazione fiorisce nel dialogo e si nutre di sconfinamenti, un insegnamento etico ed estetico senza concessioni al narcisismo.