Voce tra le più interessanti dell’odierno panorama letterario polacco, Anna Kantoch, finora sconosciuta al pubblico italiano, si inserisce di diritto nella nutrita schiera di scrittrici che sono parte integrante del fermento culturale del suo paese: da Olga Tokarczuk e Magdalena Tulli, capaci di trasformare ogni elemento della realtà nel frammento di un universo dilatato, a Zyta Rudzka e Anna Bolecka, che esplorano le difficili relazioni tra i sessi, a Izabela Filipiak e Manuela Gretkowska, rappresentanti dell’ala trasgressiva, che dissacra tradizioni e miti nazionali e infrange tabù sociali e sessuali, alle poetesse Ewa Lipska e Julia Hartwig.

La presenza femminile è numerosa anche nei generi meno «alti del giallo (da Katarzyna Bonda, a Katarzyna Puzynska, a Joanna Jodełka) e della letteratura fantastica, alcune rappresentanti della quale – una quindicina – si sono riunite nel gruppo «Harda Horda», nato nel 2017 con l’intento di discutere il recente lavoro letterario e avviare progetti comuni, fra cui la corposa antologia Harda Horda (Sqn 2019).

Del gruppo fa parte Anna Kantoch, già autrice di molti titoli, sia nel filone fantastico new weird, che contamina fantascienza, fantasy e horror, sia nel giallo e nella narrativa young adult, dei quali ha innovato originalmente lingua e forme.

Ambientato nella Polonia degli anni Venti e Trenta con i suoi caffè, i suoi teatri e la sensazione incombente dell’arrivo della guerra, il romanzo Buio, uscito nel 2012 e appena pubblicato nella traduzione italiana di Francesco Annicchiarico per Carbonio (pp. 192, € 16,00) è un originale esperimento narrativo in cui Anna Kantoch mescola alle atmosfere tipiche della letteratura fantastica altri generi, dando vita a una sorta di thriller psicologico con motivi fantasy, fantascientifici e onirici.

Vi si racconta, in prima persona, la vicenda di una giovane donna di cui non viene mai rivelato il nome, ricoverata per gravi disturbi psichici in un sanatorio sul Baltico che ricorda molto da vicino quello della Montagna incantata di Thomas Mann: stessi pazienti facoltosi, stessa atmosfera lussuosa e ovattata. «Sembra di trovarsi in uno di quegli stabilimenti termali alla moda. Gli incidenti, come i collassi nervosi, gli accessi d’ira o le enuresi notturne, vengono soffocati e poi discretamente dimenticati da infermiere deliziose, a distanza di neanche cinque minuti dal loro manifestarsi. Qui non accadono mai ‘gravi incidenti’, siamo tutti appena ‘un po’ stanchi’, ‘lievemente confusi’, abbiamo solo bisogno di riposare per rimetterci in forma».

Fin dalle prime pagine, si è invasi da un senso di inquietudine, accentuato dalla descrizione di dettagli amplificati di oggetti e volti che richiamano i film espressionisti, nonché da accenni a tragici avvenimenti dei quali solo tardivamente si saprà. Tutto ruota intorno a Buio, luogo dal nome simbolico dove la famiglia della giovane donna – appartenente all’alta borghesia polacca – possiede una casa di campagna, in cui ha trascorso tutte le estati. È un luogo dell’anima in cui la protagonista era stata felice durante quella che ricorda come un’età dorata, segnata dalla complicità e dai giochi sfrenati con i fratelli Stas e Franciszek.

I ricordi sereni (visivi, tattili e olfattivi) legati a Buio la ossessionano, perderli vorrebbe dire perdere parte della gioia vissuta. Ma Buio è anche il luogo di un episodio drammatico, la morte di Jadwiga Retha, bellissima attrice rimasta uccisa in circostanze misteriose nei pressi della casa. Al tempo appena adolescente, la voce narrante, – già incantata dalla bellezza e dalla femminilità dell’attrice cui tanto somigliava – ne aveva ritrovato il corpo, così che tornare con la mente a Buio significava ora per lei risalire a quel trauma e, prima ancora, al complesso rapporto con Jadwiga, che le avrebbe cambiato la vita.

Il racconto della protagonista, attraverso brevi capitoli preceduti dalle indicazioni «Adesso» e «Ricordi», mescola fin da subito presente e passato, realtà e irrealtà, tanto che con il procedere dell’intreccio smarrirà – e con lei il lettore, reso ancora più incerto dal suo stato psichico instabile – la cognizione del confine che le separa.

Quando nel 1935 la donna viene finalmente dimessa dal sanatorio e accolta dalla famiglia del fratello Franciszek a Varsavia, la sua ossessione per Buio non è scomparsa. Decide dunque di visitarlo riandando sistematicamente a quel passato. Durante il viaggio, che è un viaggio nella propria psiche ricostruito come un thriller, i criteri della logica e della razionalità si annullano, il tempo si avvolge su stesso e la protagonista si confonde con l’attrice uccisa, così che ognuna è se stessa e l’altra insieme.

«Ora siamo così vicine che tra noi non c’è più alcuna differenza, svanisce il confine tra possibile e impossibile. Nel fuoco dell’ultimo giorno di vacanza, tra gli strepiti degli uccelli in volo nel cielo azzurro, le scosto la pelle ed entro in lei, e diventiamo una quando lei fa lo stesso con me».

La complessa costruzione narrativa che ne discende affronta grandi temi letterari e esistenziali, dove l’intersecarsi dei tempi è anche una traversata di mondi: le corrisponde una lingua limpida, capace di rendere quel vago confine tra realtà e fantasia che traversa spesso la nostra coscienza.

Una lingua non scevra da sfumature poetiche, fatta di parole nitide, concrete, capaci di rappresentare un contesto in pochi, folgoranti cenni («Sulla mia lingua, Roma è il tintinnio argenteo di una moneta che rimbalza sulle piastrelle, dal denso sole del tramonto all’ombra fredda che crea un’anfora di marmo») e di descrivere la natura in maniera realistica ed evocativa al tempo stesso, creando un costante contrappunto ai sentimenti della protagonista.