In California, fra ragazzi può capitare di sentirsi porre una domanda sciocca quanto spaventosa: preferiresti trovarti faccia a faccia con un orso o con uno squalo? Sembra una sciocchezza e lo è, ma il potenziale di questo interrogativo infantile cambia del tutto quando ci si trova in una terra in cui esistono entrambi questi animali tanto meravigliosi quanto terrificanti. Come il Canada, per esempio.

IL ROMANZO di Claire Cameron si intitola L’orso (Sem, pp. 300, euro 17, traduzione di Alessandra Osti) e prende spunto da un fatto di cronaca: la vicenda di una coppia, una donna e un uomo, attaccati da un orso mentre campeggiavano in una riserva naturale vicino Toronto. Furono uccisi, ma l’orso non mangiò il loro cibo, che venne ritrovato intatto: se non era per fame, per l’istinto di sopravvivenza dell’animale, perché li ammazzò? Si tratta di una domanda dall’evidente risonanza, quella che hanno gli interrogativi irrisolti che sottendono alle storie di terrore o alle tragedie, che si ha bisogno di raccontare, per cercare di scongiurare l’orrore. Anche Cameron deve avere sentito questa esigenza, frequentando spesso la stessa riserva naturale in cui era avvenuto l’attacco.

LA SUA STORIA si basa sull’invenzione dei personaggi protagonisti: i figli della coppia massacrata dall’orso, Anna e suo fratello minore Alex, detto Stick. Nel romanzo i due scampano alla furia dell’animale, grazie all’intervento del padre, e si trovano ad affrontare da soli la ferocia della natura. L’enormità della tragedia della morte dei genitori, della paura, della fame, della disperazione di non sapere come salvarsi, viene raccontata attraverso la voce di Anna, che ha cinque anni. Grazie a questo artificio retorico Cameron riesce ad amplificare da una parte il terrore prototipico della foresta in cui si aggira l’orso, mentre dall’altra il racconto della bambina fa risaltare quanto la spinta ad andare avanti, a sopravvivere, anche quando non sai neanche cosa significhi, sia totalizzante.

IN UN PASSAGGIO importante, dopo la tanta inevitabile angoscia, Anna inizierà a sentire l’orso, che lei chiama «cane nero», al suo fianco, di supporto, fino a immaginarlo dentro di sé. Nessuna interpretazione psicologistica di accettazione del proprio terrore più profondo vale qui, perché l’orso esiste e si muove intorno ad Anna e, seppure tutto il romanzo coincida con i pensieri e i ricordi della bambina, quello di Cameron non è un libro intimista, ma una storia, che ha la forza di trasformarci nei ragazzini protagonisti del racconto di Stephen King Stand by me, con gli occhi sgranati ad ascoltare, fissando il fuoco.