Dopo un periodo di cattività durato oltre tre mesi sono libere le 49 persone rapite dall’Isis (Stato islamico della Siria e del Levante) lo scorso 11 giugno dal consolato turco di Mosul in Iraq. Lo ha annunciato ieri il primo ministro turco Ahment Davutoglu in visita ufficiale a Baku, che ha interrotto il viaggio per rientrare in Turchia, nella città di Urfa, dove sono giunti gli ostaggi dalla Siria. «A seguito di un impegno durato diverse settimane questa notte (ieri, ndr) verso l’alba abbiamo preso in consegna i concittadini e li abbiamo portati nel nostro paese», ha affermato Davutoglu congratulandosi soprattutto con il personale dei servizi segreti (Mit) e il capo Hakan Fidan che hanno condotto l’«operazione di salvataggio».

Mentre diversi dettagli dell’operazione restano ancora avvolti nel mistero, secondo le informazioni fornite dalla stampa locale sulla base delle dichiarazioni dei responsabili dell’intelligence e da fonti diplomatiche, il salvataggio sarebbe stato realizzato dal Mit senza l’utilizzo di armi, non sarebbe stato pagato alcun riscatto e non ci sarebbero nemmeno stati accordi riguardo ad uno scambio di ostaggi – il personale diplomatico turco in cambio di eventuali membri dell’Isis trattenuti in Turchia –. L’operazione non avrebbe avuto l’appoggio di servizi segreti stranieri e le autorità turche non avrebbero nemmeno ceduto ad alcuna precondizione per il rilascio. L’Isis avrebbe semplicemente «accettato» di lasciare i trattenuti.

Da quando l’estate scorsa il gruppo jihadista ha fatto irruzione nel consolato prendendo gli ostaggi – di cui 46 del corpo diplomatico turco, incluso il console generale Öztürk Yilmaz, e 3 cittadini irakeni – il Mit avrebbe seguito tutti gli spostamenti del gruppo, trattenuto a lungo a Mosul e dintorni. Il «pedinamento» avvenuto tramite i droni dell’aviazione turca, agenti locali e spionaggio elettronico avrebbe rilevato almeno sei tasferimenti avvenuti nei mesi scorsi. Nessuna informazione riguardo alla situazione dei diplomatici è tuttavia emersa nello stesso periodo, dato il silenzio imposto alla stampa locale da Ankara sulla questione.
«Gli ostaggi avrebbero potuto essere liberati prima», ha commentato il ministro degli Esteri Mevlut Çavusoglu, «ma i contatti precedenti con l’Isis avuti tramite mediatori non hanno sortito il risultato atteso» perché il gruppo jihadista non avrebbe «mantenuto le promesse». Il ministro ha inoltre aggiunto che «l’ultima data fornita era il 20 settembre e questa promessa è stata mantenuta».

La felicità dei familiari degli ostaggi liberati è accompagnata anche da interrogativi che attendono di ricevere risposta. «Perché quelle persone sono state abbandonate? Qualcuno deve rispondere» afferma il fratello di una diplomatica. Il governo era già stato criticato per non avere evacuato in tempo il consolato nonostante gli allarmi lanciati a differenza, ad esempio, della Siemens che nello stesso periodo aveva trasferito 200 dipendenti da Mosul.

Nei mesi scorsi diverse fonti hanno accusato la Turchia di appoggiare l’Isis contro Bashar al Assad sia logisticamente che nel rifornimento di armi. Accuse negate con forza da Ankara che all’inizio di settembre ha però deciso di non firmare la dichiarazione congiunta di azione contro il gruppo, sottoscritta dagli Stati uniti con diversi paesi arabi. Il governo turco aveva giustificato la propria scelta dichiarando di non volere «mettere a rischio la vita dei suoi 49 cittadini» con una «dichiarazione di guerra contro l’Isis». Ora che non persiste più tale rischio gli osservatori si chiedono se è da aspettarsi una presa di posizione netta della Turchia contro l’Isis.