L’entusiamo europeo per un accordo con la Turchia sui migranti è durato poco. A gelare gli animi ci ha pensato ieri un portavoce dell’Akp, il partito del presidente Recep Tayyip Erdogan smentendo che sia stata raggiunta alcuna intesa al termine della missione che il vicepresidente della commissione Ue Frans Timmermans ha condotto giovedì nel paese. Una dichiarazione che coglie di sorpresa i vertici di Bruxelles al punto che dalla commissione Ue e dal consiglio europeo arrivano nel giro di poche ore dichiarazioni contrastanti tra loro. «Per noi da ieri sera (giovedì, ndr) c’è un accordo», dice infatti la portavoce della commissione presieduta da Jean Claude Juncker. Poco dopo fonti del Consiglio correggono il tiro: «E’ vero che non abbiamo un accordo. Il piano di azione è più una dichiarazione di buona volontà che un accordo» ammettono alcuni alti funzionari facendo capire come «senza soldi» sia difficile convincere Ankara.
Un giallo che ben rappresenta la confusione che a quanto pare regna a Bruxelles in queste ore. Il vertice dei capi di stato e di governo che si è concluso giovedì notte sembra infatti aver raggiunto ben pochi risultati. Ad esempio anche una questione come la creazione di un meccanismo automatico di redistribuzione dei richiedenti asilo, che pure sembrava ormai acquisita, è ancora in altro mare sempre per l’ostruzionismo dei paesi dell’est e della Spagna.
Ma è il fascicolo Turchia quello che in queste ore appare il più spinoso. A segnare la distanza tra Ankara e bruxelles ci ha pensato lo stesso Erdogan: «la sicurezza e la stabilità dell’Occidente e dell’Europa dipendono dalla nostra sicurezza e stabilità», ha detto il presidente parlando della crisi dei rifugiati e del mancato accordo con Bruxelles.« ma se dipende dalla Turchia perché non la prendete nell’Ue?». E ancora più polemicamente: gli europei «annunciano che prenderanno 30-40 mila rifugiati e vengono nominati per il Nobel. Noi ne ospitiamo 2 milioni mezzo e a nessuno importa».
In ballo ci sono i finanziamenti destinati alla Turchia per aprire nuovi campi profughi e applicare maggiori controlli alle frontiere.
Al termine della sua missione Timmermans aveva parlato di 3 miliardi di euro da destinare ad Ankara, ma i capi di stato e di governo hanno frenato E lo stesso hanno fatto sulle richieste più politiche avanzate da Ankara per impedire ai migranti di raggiungere l’Europa, come l’accelerazione della liberalizzazione dei visti, l’inserimento della Turchia nella lista dei paesi sicuri e lo scongelamento del processo di ingresso nell’Unione. Tutti punti sui quali è emerso più di un dubbio tra gli stati membri, anche se non ci sarebbe un rifiuto a priori su nessuno di essi. Per ora, però, vince la prudenza e si è preferito rimandare ogni decisione a un prossimo vertice, ma soprattutto a dopo le delicate elezioni politiche turche fissate per il 1 novembre.
Nel frattempo ai 28 non mancano certo punti sui quali litigare. I paesi del gruppo Visegrad (Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia) continuano a opporsi alla distribuzione dei richiedenti asilo e soprattutto all’idea che questa avvenga in maniera automatica. A loro si è aggiunta anche la Spagna. Una presa di posizione che al vertice della scorsa note ha fatto scattare la cancelliera tedesca: «Non riesco a capire perché i paesi dell’est ritengono di non essere trattati bene», ha detto Angela Merkel. «Devo capire perché reagiscono così a una delle sfide che l’Europa deve affrontare».
Altro punto caldo sono i soldi promessi per i trust fund su Siria e Africa: mancano ancora 2,2 miliardi di euro: la soluzione trovata prevederebbe uno stanziamenti graduali, partendo quest’anno con 500 milioni di euro prelevato dal bilancio Ue e altri 500 messi a disposizione dagli stati membri.