Qualcosa si muove a Bagheria, delle belle immagini in sequenza, raffinate ed emozionanti, sensibili e pregnanti. C’è una produzione locale di cortometraggi animati che varca i confini ed entra nell’orbita del più ambito dei premi cinematografici, ma soprattutto esporta un immaginario legato alla città siciliana che la illumina rispetto ad altro immaginario più fosco e inquietante. Emblematico dunque è Confino, fresco di premio quale miglior cortometraggio al Giffoni film festival nonché premio del pubblico ad Animavì e già nella long list per gli Oscar 2018, che come un faro si erge sull’isola da Animaphix. Il festival del film animato di Bagheria, in corso fino a domani nella settecentesca Villa Aragona Cutò e Villa Cattolica, sede del museo Guttuso, oltre alla selezione di 20 cortometraggi d’autore indipendenti in concorso presenta quindi i suoi eccellenti prodotti locali realizzati da Nico Bonomolo con la sapiente expertise musicale di Gioacchino Balistreri. Il loro Confino è denuncia del fascismo senza livore, canto d’amore senza parole, inno all’incantesimo del grande schermo e alla capacità di suscitare emozioni con le immagini anche se con pochi mezzi. È soprattutto un canto muto alla libertà di sentimento e di espressione con valenza universale. L’intento è annunciato sin dalla citazione d’apertura dal romanzo 2001: Odissea nello spazio di Arthur C. Clarke che, richiamandosi ai cento miliardi di uomini che hanno vissuto sin dalle origini sulla Terra, quante le stelle della Via Lattea, scrive: «Così, per ogni uomo che abbia vissuto, in questo universo splende una stella».
DITTATORE IN MUTANDE
Il film di 11’ inizia però essenzialmente con un faro, un uomo e il rumore del vento e del mare. La musica al piano eseguita da Balistreri (anche compositore di buona parte della colonna sonora) accompagna all’antefatto di uno spettacolo di ombre. Al teatro Impero sul palcoscenico sovrastato dalle lettere maiuscole che compongono la parola Dux scorrono leggere le silhouette di animali – una colomba, uno scorpione, un toro, un antilope – applaudite anche dalle camicie nere fino a quando un’ombra raffigura satiricamente il dittatore in mutande. L’artista è inviato al confino, accompagnato da malinconiche note al piano e da sfumature di grigio del disegno inghiottito da dissolvenze in nero. Il protagonista esiliato si erge per sobria dignità, attorniato da un’atmosfera triste disturbata dalla voce declamante del duce attraverso gli altoparlanti.
Con accorta sintesi narrativa, passano le stagioni mentre il guardiano del faro illumina la sua solitudine gettando luce su una sagoma artefatta per sentire a cena il conforto di una donna proiettata sulla parete. Nel gioco di sguardi non visti e di interazioni fra realtà vivente e immaginata, il confinato adocchia al cannocchiale la donna vera da amare sull’altra sponda. La raggiunge dalla sua torre isolata proiettando sul muro le sue fantasmagorie, ricreando in sequenza Chaplin, Nosferatu, Singing in the Rain e altri momenti magici del cinema che tocca i cuori, come tanti fari puntati in alto a rischiarare il buio opprimente.
Animaphix chiama anche a raccolta sobri maestri internazionali, dando loro carta bianca di proiezione, come lo svizzero Georges Schwizgebel. I suoi lavori si contraddistinguono per la tecnica artigianale, che consiste nel dipingere a mano ogni fotogramma, realizzando così una pittura animata, un’opera d’arte dinamica. L’altra componente fondamentale è anche qui la musica classica, eseguita nella sua produzione più recente dal figlio Louis, che in perfetta sincronia con le immagini in movimento mira innanzitutto alla percezione estetica ed emozionale dello spettatore. Nei suoi diciotto pluripremiati cortometraggi ritroviamo più situazioni che storie, momenti colti al volo ma distillati con cura per un appagamento duraturo dei sensi, fra pennellate e orchestrazioni ora sublimi, ora in fuga. Così è in Jeu (2006), gioco visivo e musicale costruito e scomposto al ritmo del pianismo scherzoso di Sergej Prokofiev, e in Retouches (2008) tra i flussi ondosi del mare e il respiro di una giovane donna addormentata resi con incastri pittorici animati in trasformazione.
I suoi quadri viventi dai colori caldi e l’eleganza della prima metà del Novecento mostrano spesso scene di musica nel suo farsi. Orchestre in azione, strumenti toccati e strusciati quasi con vita propria, suonatori e danzatrici in libertà, coppie in raffinati abiti da sera di ritorno da serate concertistiche popolano le scene sinfoniche di Schwizgebel. In Le sujet du tableau (1989) un anziano ritrova gli anni perduti vivendo da soggetto in quadri famosi, grazie al tocco di un pittore-regista, fino a incontrare una fatale donna in rosso. L’opera è realizzata con pittura a olio su acetato, tecnica desueta per l’animazione, ma per l’autore è anche una necessità che si fa virtù: «Non uso il computer perché non so farlo e comunque adoro creare le immagini e averle sotto mano». Così è anche per l’eccellente La course à l’abime (1992), corsa verso l’abisso per animazione trasformativa in progressione con colonna sonora La dannazione di Faust di Hector Berlioz, conclusa con un’ineccepibile sincronizzazione mirabilmente realizzata a mano e gran finale di composizione di tutte le scene in contemporanea.
SOGNI E POESIA
In La jeune fille et les nuages (2000) l’artista gioca su toni più crepuscolari, reinterpretando liberamente la storia di Cenerentola fra i rossi tramonti di cielo, nuvole e corpi e il blu intenso notturno, sospesa fra attesa di rarefatta intensità, ballo e fuga (Op.35 n.5) di Mendelssohn. E per tornare sull’importanza delle ombre, chiudiamo questa retrospettiva dell’animatore elvetico con L’homme sans ombre (2004) ispirato al romanzo del 1814 Storia straordinaria di Peter Schlemihl di Adalbert von Chamisso. Volando ancora alto nei riferimenti culturali, l’autore ricorre alla variante dello stolto patto faustiano – stavolta la propria ombra in cambio di ricchezza – per schierarsi gentilmente dalla parte della dimensione eterea dei sogni e della poesia contro una visione puramente pragmatica e materialistica. Di nuovo i giochi d’ombre e l’omaggio ai teatrini thailandesi confermano l’animazione poetica di Schwizgebel perché, come lui stesso afferma, «con le nuvole si possono raccontare storie».
L’altro ospite d’eccezione è il maestro polacco Piotr Dumala (1956), noto per la sua originale tecnica, definita «destructive animation», di incisione su lastre di gesso dipinte di colore scuro che, incise con coltello e scartavetrate, lasciano apparire linee bianche, a loro volta ricoperte a pennello a effetto oscurante. Ogni tavola così ottenuta dura lo spazio di uno scatto, per poi essere modificata con la tavola successiva. È autore di una decina di cortometraggi d’animazione, tra cui il sofisticato Franz Kafka, estremamente realistico e inquietante. Per la sua interpretazione onirica di Delitto e castigo, notturno espressionistico, ha lavorato per tre anni, riprendendo quadro dopo quadro in stop motion, per ottenere mezz’ora di film.