Alias Domenica

Angoscia uguale divieto di sosta

Segni particolari La scrittura di Giuseppe Berto

Pubblicato più di 7 anni fa

Notate il taglio di questa citazione: «dopo quella grossa crisi che mi aveva lasciato stremato di corpo e di spirito, e altre crisi sia pure più piccole che erano venute dopo e che mi avevano gradualmente sospinto attraverso astrazioni successive alla paura della paura, una fase psicopatologica direi intermedia e a mio avviso non del tutto negativa dato che fin che uno soffre per la paura di un cancro o di un infarto o di qualsiasi altro male fisico si attribuisce una malattia mentre viceversa la paura della paura è metafisica, ossia». Il suo inizio e la sua fine sono arbitrari. Peggio: violenti.

Perché impongono confini a un flusso di scrittura che dilaga, allontanando il punto fermo per pagine e pagine. Il male oscuro di Giuseppe Berto è questo: frasi lunghe, lunghissime, dove le cose, i pensieri, i discorsi si impilano senza che la punteggiatura intervenga a ritmarli, se non a stazioni distanziate oltre misura. Del ventaglio di segni disponibili restano, oltre ai pochi punti, sempre lontani, solo le virgole, adibite non certo a sminuzzare la pagina, ma piuttosto a ribadire passaggi che sono spesso già marcati dalle congiunzioni (è frequente la forma: «, e»). L’interpunzione, si sa, allaccia e distingue; crea legami e incide pause; solidarizza con l’architettura sintatitca o, capricciosamente, la sfida. Ma perché eradere in toto giunture e sospensioni? perché negare il respiro, il ritmo cardiaco della pagina?

Perché l’angoscia cancella, insieme ad altre facoltà, quella di interrompere. La pausa, il riposo, il vuoto, il silenzio: comunque si voglia chiamarlo è proprio quello spazio bianco che il malessere azzera, costringendo la scrittura a un moto perpetuo, a una incapacità di distrazione che moltiplica sé stessa. Il divieto di sosta che la mancata scansione puntuativa porta con sé è, di fatto, la probizione di tirare il fiato. Al fiato della pagina, mai come in questo romanzo, corrisponde il fiato della vita: rattenuto, costretto nel suo stesso dilagare; nella sua incapacità di respirazione ritmata, nel suo spiegabile, soffocante parossismo.

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