Fare musica non significa semplicemente suonare uno strumento o dirigere, per esempio, un’orchestra. Esiste un’ampia gamma di nobilissimi mestieri che, per contenuti e vocazione, rimandano evidentemente all’universo musicale, e non è un caso che alcuni di essi abbiano, alla fine, persino mosso l’attenzione dei nostri pachidermici conservatori. Non esiste (ancora) un corso per accordatori di pianoforte, ma se domani un’idea del genere prendesse forma, la prima cattedra honoris causa andrebbe assegnata senza dubbio ad Angelo Fabbrini, che in questo ambito è, da quasi mezzo secolo, un punto di riferimento insostituibile.

A Fabbrini, appunto, l’editore Passigli ha appena dedicato un volume intitolato La valigetta dell’accordatore (pp. 160, € 18,00) in cui l’illustre mago dei pianoforti racconta la propria storia, tra aneddoti e riflessioni, a Pietro Marincola, amico e compagno di lavoro da più di quarant’anni. Il titolo del libro rimanda, per scelta, a un romanzo di Cronin (La valigetta del dottore), quasi a sottolineare il senso di militanza sotteso alla lunga esperienza professionale di Fabbrini, fatta di mille piccoli gesti, ripetuti all’infinito con amore, e di mille grandi incontri. Come quello con Arturo Benedetti Michelangeli, pianista leggendario e leggendariamente pignolo che tuttavia nei confronti di Angelo Fabbrini ha sempre nutrito fiducia totale, poi trasformatasi in solida amicizia.

Le figure di Rubinstein, Gilels, Kempff, Weissenberg affiorano dalle pagine del volume ammantate da un’aura di mito: si avverte, cioè, il senso di ammirazione, persino di soggezione sincera con cui Fabbrini si è relazionato con ognuno di loro, a testimonianza di un impegno svolto con passione autentica, ribadita nelle pieghe della lunga intervista rilasciata alla pianista Valentina Pagni, in apertura del libro.

È certamente significativo che interpreti come Pollini e Schiff, abituati a non lasciare nulla al caso, non sappiano rinunciare, ovunque suonino, ai pianoforti selezionati e preparati da Angelo Fabbrini; la qual cosa non solo continua a suscitare nell’accordatore un senso di gratificazione professionale ma sfiora – come ammette egli stesso – la sfera della felicità personale.