Nella consueta carrellata estiva di sequel hollywoodiane carburate da esplosioni ed effetti digitali,Maleficent è un blockbuster di rara originalità e, assieme forse al prossimo Sin City di Robert Rodriguez, probabilmente sarà uno dei pochi «tentpole» ad avventurarsi oltre i confini della stretta formula da box office (anche se il botteghino lo ha sbancato in America e in Italia).

Pur se non esattamente cinema sperimentale, il film dell’esordiente regista Robert Stromberg, effettista oscar di Avatar e dell’Alice di Tim Burton, non è senza spunti originali. Con la sceneggiatura di Linda Woolverton (La Bella e la Bestia;Mulan), Maleficent rivisita la fiaba classica di Disney e dei Grimm e prima ancora, nel 1697, di Charles Perrault(e della tradizione popolare europea che si perde nel medioevo). Ma a differenza delle recenti riedizioni di Biancaneve ad esempio, virate in farsa comedy e melodrama action, il film prodotto e interpretato da Angelina Jolie trova lo spunto per una rilettura più interessante.

Maleficent capovolge l’archetipo scegliendo il punto di vista della malefica regina/strega e inventando una storia di origine per il personaggio cattivo della fiaba. Scopriamo così che come ogni buon personaggio, la cattivona ha un suo «arco» emotivo e le sue buone ragioni, nella fattispecie un torto tremendo subito da ragazza, un’orrenda mutilazione e ancor peggio una incurabile ferita nell’animo provocata da un crudele tradimento. Delusa dalla meschinità degli uomini «Malefica» si chiude nella sua foresta emozionale vicino al castello fortificato del patriarca e dei suoi uomini armati – una geografia che riporta la fiaba alla sua dimensione più prettamente simbolica, quella della dicotomia maschile/femminile.

Il regno incantato di Maleficent, magico e stregonesco, è specchio umorale della sua ira funesta: la donna a cui sono state letteralmente carpiate le ali medita la sua tremenda vendetta contro il mondo patriarcale e il suo incantesimo scagliato contro la figlia del re finisce per fare onore al suo nome.

Per Bruno Bettleheim la favola dell’addormentata era un articolazione delle incosce pulsioni dell’adolescenza femminile come momento liminale alla vita adulta. Il sangue spillato dal dito punto dal fuso un’allusione all’arrivo del menarca seguito a breve da quello del principe azzurro. Ma nella versione «sovversiva» di Maleficent il principe ha solo un cameo da infatuato imbelle e inefficace quanto a risvegli sessuali.

Intanto al centro dello schermo Angelina Jolie domina con una performance degna a tratti di Joan Crawford, grazie al volto «estremizzato» dagli zigomi body art creati dal pluridecorato Rick Baker.

Una «turbo-Angelina» che torna sugli schermi dopo quattro anni di assenza in cui ha dimostrato di essere una brava regista con The Land of Blood and Honey sul conflitto jugoslavo, e ora sta per uscire con Unbroken, la vera storia di un atleta olimpico che finisce prigioniero di guerra in Giappone (sceneggiato dai Coen).

Al di la di ogni filmografia, comunque la star rimane inafferrabile dietro alla sua immagine pubblica, un indotto di glamour, gossip e potere hollywoodiano condiviso col compagno Brad Pitt, e un complesso di charity di cui fa parte il lavoro di ambasciatrice UNHCR. Anche la crescita della sua power-famiglia è una specie di operazione pubblica che richiede una attenta mediazione con la sua vita professionale («Sono fanatica del calendario», ammette).

Il fascino del pubblico non è certo diminuito da rivelazioni come quella sulla doppia mastectomia preventiva a cui si è sottoposta l’anno scorso. Ad ogni modo un personaggio decisamente carismatico e a volte un pò pauroso – proprio come in Maleficent.

Il film ruota in parte sulla concezione del male?

Credo che una delle cose interessanti della sceneggiatura sia mantenere un’ambiguità nella storia. Maleficent prende decisioni orribili come quando fa del male a una bambina innocente. L’intenzione non è di assolverla ma di capire come sia arrivata ad essere ciò che è. Penso che il messaggio sia: tutti abbiamo reagito ad abusi o torti subiti chiudendoci in noi stessi, nella nostra amarezza. Nel suo caso il passato la porta a una reazione estrema. Potrà ritrovare la sua umanità? Tutti potenzialmente possiamo scivolare verso un luogo oscuro, sono gi sforzi per resisterlo che ci definiscono.

Lei ha esperienza diretta col male?

Sicuro. (ride) Alle Nazioni unite come a Hollywood. A parte gli scherzi ho passato molto tempo in luoghi disperati, vicino a confini attraversati da profughi che coi figli fuggivano dalle loro case incendiate, dal gas nervino, dalle torture. Figurarsi se non ho esperienza del male che c’è nel mondo. Occorre però conoscerne anche le radici e le cause per capire come combatterlo davvero. E credo che le armi migliori siano sempre giustizia e istruzione.

Come si muove quando va in missione in quei luoghi?

Cerco subito di passare del tempo con le persone che lavorano lì per avere più informazioni possibile. Poi provo a incontrare i rifugiati da sola. Di recente sul confine con la Siria la polizia mi ha scortato nel campo profughi, e ho potuto passare qualche ora seduta in terra a conversare con le famiglie che erano lì. La cosa più importante, almeno credo, è essere semplicemente presente, e fare sì che i miei interlocutori vedano un altro essere umano che li guarda negli occhi e li ascolta. L’altra è rendere pubbliche queste storie, soprattutto coi politici e capi di governo che come ambasciatrice ho l’opportunità di incontrare.

Parlava dei bambini, è per loro che fatto questo film?

Non mi sono mai considerata buffa, sicuramente non una tipa da Disney, ma ho sempre voluto credere di riuscire anche a fare film così. Quando mi hanno dato il copione per prima cosa ho riunito i miei figli e gli ho detto: «Vi devo dire un segreto. Avete presente Maleficent? Beh c’è qualcosa che non sapete». E gli ho raccontato la storia. Niente mi rende felice come far divertire i bambini.Queste prove mi hanno aiutata anche a trovare la voce per il personaggio, ho scelto quella che a loro piaceva di più.

Quale considera il suo ruolo più importante, attrice, regista o attivista?

La cosa principale per me è l’impegno politico e umanitario. Per questo almeno da regista prediligo progetti che affrontano la Storia e come imparare da essa. Il lavoro di regia è più coinvolgente, ti puoi immergere nel materiale, come è accaduto con Unbroken. Da attrice è un pò diverso. Fare Maleficent è stato meraviglioso ma in fondo si è trattato di tre mesi appena della mia vita.

«Maleficent»ha uno sguardo decisamente femminile. Che rapporto ha con le donne?

Mia madre era la persona più forte che abbia mai conosciuto. Poi ci sono state le amiche che ho incontrato a vent’anni, quando sono stata in missione in Cambogia, siamo ancora molto vicine tutt’oggi. Feequentavo le attrici ma lì ho trovato giovani donne che lavoravano in prima linea nei campi profughi con una dedizione incredibile. Sono state per me una grande ispirazione. Poi quando hai dei figli cambia anche il tuo rapporto con altre donne, si forma una solidarietà reciproca. Oggi ci sono le mie figlie, mi hanno insegnato più di ogni altra donna.

Crede che esistano equivoci sul suo conto?

Francamente non saprei perché evito di leggere qualunque cosa che mi riguarda. Scommetto che se lo facessi ne ne scoprirei parecchi! (ride) Ho vissuto in questa città abbastanza a lungo per sapere che è meglio pensare ad altro. Mi sembra però che col passare degli anni la gente mi capisca meglio.

Ha deciso di rendere pubblica la decisione di sottoporsi a mastectomia, perché?

Mi è sembrato un dovere nei confronti di tutte le donne. Avevo imparato alcune cose sulla salute e volevo che tutte sapessero, forse questo le avrebbe aiutate a prendere delle decisioni. Avrei volute che mia madre avesse fatto lo stesso quando era giovane, forse oggi sarebbe ancora qui con me.

È vero che pensa ad un’operazione analoga per prevenire la possibilità di un tumore alle ovaie?

Sto esaminando ciò che comporterà, e ne parlerò pubblicamente quando sarà il tempo.