Per oltre vent’anni Angela Marsons ha cercato di costruire delle storie che non avessero nulla a che fare con il mondo che le stava intorno: dei thriller buoni per qualunque luogo, ma forse per nessun pubblico, dato che invariabilmente i suoi manoscritti le venivano restituiti accompagnati da qualche scarna riga di circostanza. Poi, nel 2015, la svolta, il primo contratto con un editore, inizialmente solo digitale, e un successo crescente da milioni di copie.

Ora che non è più costretta a mantenersi con altri lavori, è stata a lungo responsabile della sicurezza in un centro commerciale della zona in cui vive, è Marsons stessa ad ammettere che forse l’attenzione verso i suoi romanzi – sei quelli pubblicati fino ad oggi, nel nostro paese da Newton Compton, il più recente è Il primo cadavere (pp. 380, euro 9,90) – deriva anche dall’aver alla fine scelto di ambientare ciò che scrive nella Black Country. È qui, nell’ex cuore industriale del centro dell’Inghilterra – il «nero» del nome si deve proprio al terribile inquinamento dell’epoca in cui le miniere di carbone e le fonderie della regione diedero avvio alla rivoluzione industriale – che la scrittrice mette in scena le indagini della detective ispettore Kim Stone. Una donna risoluta, ma che nasconde profonde ferite interiori, che si muove tra crimini orrendi in una terra segnata dalle rapide trasformazioni sociali ma anche da un generale senso di sconfitta. E che anche per questo è stata l’epicentro del voto in favore della Brexit che di qui a qualche giorno tornerà a rendere definitivamente un’isola la Gran Bretagna.

La scrittrice Angela Marsons

Lei vive e ambienta i suoi romanzi nella Black Country, dove nel 2016 si è votato in maggioranza per la separazione dall’Europa. Quali i motivi di quel voto e pensa che nel frattempo qualcuno abbia cambiato idea?
Ritengo vi sia stata molta disinformazione prima di quel voto. C’erano titoli sensazionalistici sui vantaggi che avrebbero accompagnato l’abbandono dell’Europa e che, in assenza di una comunicazione chiara, hanno catturato l’attenzione di molte persone. In seguito, alcuni hanno cambiato idea e io per prima avrei voluto che ci fosse stata data la possibilità di un secondo referendum, questa volta dopo che le persone avevano compreso meglio le ripercussioni di quella decisione, ma sfortunatamente non abbiamo avuto questa opportunità. Perciò stiamo per entrare nel 2021 del tutto incerti su cosa ci riserverà il futuro e su come ci muoveremo nella nuova situazione. Mi auguro che il paese affronti unito tutto ciò e che non vada in pezzi.

Concretamente cosa pensa potrà cambiare per lei, i suoi concittadini e forse anche per i personaggi dei suoi romanzi?
È una domanda difficile perché nessuno di noi capisce ancora come sarà influenzato da tutto questo. È un periodo di grande incertezza per le persone, il lavoro, la società. Personalmente continuerò a scrivere le mie storie e a raccontare le vite dei miei personaggi che ancora con so come potranno essere influenzati dal nuovo contesto.

Anche nel suo ultimo romanzo, come del resto nei precedenti, lo sfondo sociale in cui si muovono i personaggi è quello di zone che hanno subito grandi trasformazioni sociali, dove le vecchie case popolari e i quartieri operai stanno diventando zone residenziali, ma dove l’emarginazione, la piccola criminalità e le gang restano parte del paesaggio. Si ha la sensazione che la realtà della Black Country sia quasi un personaggio tra gli altri nelle sue storie.
Effettivamente penso di utilizzare l’ambientazione come un personaggio in sé. La Black Country è ricca di storia industriale, anche se oggi molte fabbriche sono ormai scomparse, lasciando la regione senza una chiara direzione di sviluppo e molte sue zone segnate dall’incertezza. Per quanto i crimini che racconto nei miei romanzi abbiano luogo nei più diversi contesti sociali, lo scenario di fondo è questo. Certo, a fronte di tali difficoltà ci sono anche aree della Black Country piuttosto benestanti. Il punto, come penso emerga anche nei miei libri, resta la sfida che questa regione sta affrontando per costruire un futuro diverso, dopo che nel recente passato ha già visto il proprio volto mutare dal mondo industriale a quello delle nuove tecnologie.

Nel suo romanzo del 2017 «Le verità sepolte» si racconta il volto dell’odio della Gran Bretagna odierna, le violenze fisiche e il ruolo che può avere anche internet nel diffondersi delle discriminazioni e del razzismo. Quale è la situazione nel paese da questo punto di vista?
Dead Souls – nell’originale inglese, ndr – è stato di gran lunga il libro più difficile che abbia scritto. Ho passato molto tempo a leggere resoconti personali di persone che avevano subito abusi, fisicamente e verbalmente a causa del colore della loro pelle, della loro cultura o del loro genere. Molti paesi devono fare i conti con l’ignoranza, il fanatismo e le discriminazioni, e la Gran Bretagna non fa eccezione da questo punto di vista. Tuttavia credo che i messaggi chiari su questi temi dovrebbero venire prima di tutto dai nostri leader. E che al contrario la decisione di lasciare l’Unione Europea abbia incoraggiato razzisti e fanatici a strisciare fuori dalle loro tane e a minacciare persone innocenti, in particolare immigrati, poiché sentivano che la Brexit aveva in qualche modo dato loro il permesso di fare ciò che volevano. Una sorta di grande ritorno all’indietro del paese e della sua società.

Il passato che ritorna, che si tratti di quello personale dell’infanzia dei protagonisti, di quello che spinge qualcuno ad uccidere, come di ossa ritrovate per caso in un terreno, ha un ruolo importante nelle sue storie. È il luogo in cui si celano le ferite dell’anima che possono scatenare la violenza?
Per me è importante capire le motivazioni di tutti i miei personaggi, anche di quelli malvagi. Devo comprendere appieno le azioni di un assassino quando ne scrivo e molte derivano dal dolore che è stato sperimentato da qualche parte nel passato. Queste ragioni non possono essere addotte come scusanti per i crimini, ma fanno capire il percorso che conduce ad alcune azioni orribili, il background della violenza.

Nel caso di Kim Stone, la detective protagonista dei suoi romanzi, proprio questo passato di persona ferita e abbandonata durante l’infanzia sembra essere lo stimolo principale alla sua volontà di fare luce sui crimini e i loro responsabili: una sete di giustizia che riguarda prima di tutto sé stessa?
Non solo Kim diventa detective per rispondere ad una sete interiore di giustizia, ma si schiera sempre dalla parte dei perdenti perché sa esattamente come ci si sente ad essere in una posizione di estrema fragilità. È questo bisogno di proteggere i vulnerabili, come nel mio ultimo romanzo – Il primo cadavere – che affronta il tema della pedofilia e degli abusi sui più piccoli, a guidarla ogni giorno e sebbene non sia il personaggio più amichevole e aperto nei confronti di chi le sta accanto, penso che i lettori perdonino i suoi difetti di carattere visto che a muoverla è sempre la volontà di fare la cosa giusta.

Le detective cominciano ad essere numerose nel noir, anche se il genere si è definito in passato soprattutto intorno a delle figure maschili con tutti gli stereotipi del caso. Cosa significa scrivere di una «sbirra»?
Quando ho iniziato a scrivere mi sono concentrata su storie che pensavo sarebbero piaciute agli agenti letterari, incentrate su personaggi piacevoli e senza alcuna ambientazione particolare perché credevo che nessuno avrebbe voluto leggere le storie della Black Country. Dopo 25 anni di rifiuti ho deciso di scrivere il romanzo che volevo, che parlasse del luogo in cui sono nata e dove vivo tutt’ora. Inoltre, dovevo liberare una voce che era stata nella mia testa per molti anni. Ero titubante perché non mi piaceva molto il suo suono ed è stato solo quando l’ho lasciata uscire che ho imparato a conoscerla davvero. A quel punto, scrivere di Kim Stone, un personaggio scontroso, fuori luogo, difficile è stata una scelta naturale perché la voce nella mia testa era sempre stata femminile.