Visioni

Angela Baraldi, «I miei personaggi da vecchia Hollywood»

Angela Baraldi, «I miei personaggi da vecchia Hollywood»Angela Baraldi

Note sparse L'artista emiliana parla del nuovo lavoro dal titolo «Tornano Sempre», un disco nato tra mille progetti: cinema, teatro e la passione per i Cccp

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 8 marzo 2017

Intenso, crudele, atmosfere che ricordano la scena underground anni 70, rarità nel panorama italiano odierno. È il nuovo album di Angela Baraldi Tornano sempre prodotto da Giorgio Canali: «Voleva essere un titolo ironico, riferito a me, è da tempo che non pubblico un disco. Ma questo è un progetto diverso, costruito su due piani, la parte musicale è stata improvvisata. La scrittura dei testi è mia e mi sono presa il tempo di cui avevo bisogno, non avevo mai lavorato così, sono sempre andata in studio con i pezzi già pronti».

Un album come uno specchio, da un lato il volto dell’artista e per riflesso dall’altro la società: «Riflette sia la mia personalità che il momento in cui li ho scritti, istintivamente senza pensare. C’è un fondo di crudeltà proprio come in Hollywood Babilonia l’ascesa e la caduta di questi personaggi un po’ dimenticati». Nelle liriche ricorre spesso la parola uomo, ad indicare il genere umano: «Parlo di un essere umano indifferente, carne morta, la parte di società che non partecipa». Come diceva Gaber la libertà è partecipazione e oggi tutto siamo tranne che liberi: «Partecipare è faticoso vuol dire mettersi in gioco. Anch’io ho temuto a volte di essere una persona indifferente, perché la realtà è dura. Attraverso la musica cerco di non esserlo, comunicare i propri sentimenti significa non essere indifferenti. La persona indifferente può sembrare forte ma in realtà non è così, si accontenta, ed è la cosa peggiore».

Parlavamo di Hollywood Babilonia, ispirato all’omonimo libro di Kenneth Anger: «Racconta dei primi attori della Hollywood di allora, del loro lato oscuro. La cosa che mi piace molto è il lato umano che si va a scontrare con la percezione che invece hanno gli altri di te. Quella degli attori – prima del’avvento del cinema – è stata una categoria disprezzata dalla borghesia, erano guitti, persone nomadi. Con il cinema diventano eroi della collettività, vengono portati in alto e ovviamente poi la caduta è sempre più rovinosa. George Reeves (il primo Superman tv, ndr) è stato un eroe del cinema ma nella realtà si è suicidato. La reazione della gente fu di delusione, si era suicidato e quindi era un ’uomo debole’».

Nella società di oggi, il suicidio è visto come un segnale di debolezza: «Non mi sento di giudicare una cosa così profonda, la rispetto». Chiudimi gli occhi è un brano profondo che si muove in territorio sentimentale: «Quando l’ho scritta non ero innamorata di nessuno, è il desiderio di innamorarsi di qualcuno che ti fa scrivere le canzoni d’amore più belle. L’ho scritta dopo essere stata in una casa di una coppia estremamente ricca che non conoscevo, un appartamento lussuoso ma estremamente cupo. Non c’è un nesso con le liriche però quella coppia in quel contesto, un ambiente popolato di scheletri di scimmie, insetti nelle bacheche, mi hanno fatto riflettere: nell’agio economico sentivo un disagio umano molto profondo. Una sensazione di freddezza – prima di entrare nella villa una serie di cancelli, cani da guardia – che mi hanno fatto scattare come una scintilla. Così ho iniziato a scrivere un testo sul desiderio di volersi innamorare: la ricerca delle affinità elettive, affinità che salvano il mondo».

Si sente anche il marchio musicale di Ian Curtis: «La sua figura e la sua poetica mi commuovono profondamente, da sempre». Tante collaborazioni, molte legate all’universo CCCP, CSI: «Non ho una visione sacra dei CSI e di Ferretti e ho potuto interpretare a modo mio le canzoni. Il mio idolo è Iggy Pop, lui è il maestro, quando le cose poi iniziano a diventare sacre a me rompono. Poi mi sono ritrovata a cantare il repertorio dei CSI che non conoscevo, facevo il giullare rock’ n’ roll. Mi piace la fisicità non il piglio intellettuale. Ho messo molto della mia esperienza teatrale, ci sono analogie con Beckett, nella ripetizione nei testi con piccole varianti. Pensi che abbia ripetuto una frase tre volte invece no, la frase è simile a quella che viene dopo però quella parola va cambiata e la ritrovi dopo quattro frasi. Ferretti ha un metodo ossessionante e l’ossessione ha uno spessore».

Attrice di cinema e teatro, artista completa e se pensiamo alle atmosfere di questo disco da associare a un regista: «Mi viene in mente David Lynch per il bianco e nero e anche Luis Bunuel». Non a caso come in un film di Bunuel, Tornano sempre suona come un album elegante, con uno sfondo di meschinità reale…

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