La sedia di Mohammad Rasoulof è ancora vuota, come Oleg Sentsov – che ha ritrovato la libertà, lo abbiamo visto dopo anni di persona presentare il suo film Numbers – il regista iraniano è tra quegli artisti, uno per tutti Jafar Panahi, che il proprio Paese ha condannato all’invisibilità: prigione, divieto di viaggiare. E proprio con Panahi Rasoulof venne arrestato nel 2010, l’accusa contro entrambi era di «cospirazione» – i due registi stavano preparando un film senza permessi ma soprattutto avevano contestato apertamente il presidente Ahmadinejad schierandosi col cambiamento politico rivendicato dal movimento dell’«Onda verde». Rasoulof venne condannato a sei anni ridotti poi a uno ma nel 2017 le autorità iraniane gli hanno ritirato nuovamente il passaporto. Il motivo è stavolta il suo nuovo film, A Man of Integrity – presentato a Cannes nel Certain Regard – che gli vale un’accusa di «propaganda contro il sistema e attentato alla sicurezza nazionale» e una condanna, nel 2019, a un anno di prigione e all’obbligo di non uscire per due anni dall’Iran.
There is no Evil arrivato in chiusura di concorso – e per molti un ottimo candidato all’Orso d’oro – racconta la sua realtà, l’Iran, che può essere però quella di qualsiasi altro Paese sotto un regime autoritario le cui regole distruggono sogni e pensieri delle persone nel profondo, governano le loro esistenze incanalandole in una sorta di anestesia quotidiana, di oblio affidato alle abitudini della «normalità».

È DA QUI che nasce la questione centrale su cui indaga il regista, resa esplicita nelle parole di uno dei suoi personaggi, una donna che aveva un ruolo sociale molto rilevante ma si è ritirata in una campagna sperduta: al giovane fidanzato della figlia, che le chiede perché ha scelto di sparire dalla vita sociale, lei replica che a un certo punto si deve dire di no, che non si possono solo accettare le «regole»specie se pensare contro gli altri, come una privazione delle libertà… Dunque come rispondere alla violenza, alla sopraffazione, alla negazione del diritto? Voltando lo sguardo o rifiutando quanto viene richiesto, assumendosi le responsabilità – e le conseguenze spesso dolorosissime – della propria scelta? Lui fa il servizio militare, accetta ogni richiesta ma in quella casa piena di libri, di una famiglia che si intuisce intellettuale e dissidente, viveva anche un’altra persona, che è stata giustiziata per le sue idee. Non è qualcosa che riguarda tutti, e specialmente chi non vuole sapere, chi accetta le versioni ufficiali nelle quali i condannati sono descritti come ladri o assassini pericolosi?

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DIVISO in diversi capitoli, ciascuno una storia, il film di Rasoulof costruisce diversi punti di vista, che sono diverse risposte e attitudini, frammenti di una trama sociale che oscillano nel tempo: nessuno dei personaggi si conosce eppure incrociano i loro destini. C’è una famigliola, il padre sembra un po’ il contrario del maschio macho, premuroso con la moglie, che è insegnante, si occupa della madre anziana e malandata, le cucina la cena e le fa la spesa, adora la piccola figlia, una principessina, e anche se ha fatto il turno di notte salva un gattino rimasto impigliato nei tubi del condominio. Non sembra, nel suo silenzio, nemmeno particolarmente soffocante con la moglie che invece è un po’ aggressiva, un fondo reazionario traspare dalle sue parole – o quantomeno giudicante – con le quali parla delle allieve eccessivamente libere, ma anche la rabbia di non poter ritirare i soldi in banca per il marito senza che l’impiegato non controlli chiamando l’uomo ogni volta. Sembrano una famiglia come tante altre, l’uomo deve avere un qualche malanno, forse problemi di insonnia. Ma quale è il lavoro che lo costringe a svegliarsi nel cuore della notte? Lo scopriremo (senza «spoiler», il film uscirà anche in Italia) e sarà quando pone le basi del racconto, su un «male» che non esiste ma che riguarda la volontà collettiva, le azioni individuali – vivere tranquilli senza farsi domande o rifiutare di essere parte della macchina. E non si tratta di diventare eroi ma, appunto, di assumersi la responsabilità delle decisioni che si prendono non imputando la «colpa» solo alla società autoritaria.

COSÌ se un ragazzo rifiuta di eseguire una condanna a morte, con tutto ciò che comporta, niente lavoro, patente, diritti, passaporto, un’esistenza in fuga, l’altro per avere tre giorni di permesso accetta. C’è poi una ragazza iraniana cresciuta in Gerrmania, il padre amatissimo è medico, è andata in Iran su sua richiesta per incontrare uno strano zio: non sa perché, l’uomo deve raccontarle qualcosa. Anche lui a suo tempo aveva rifiutato il servizio militare: o è lo stesso che abbiamo visto prima oggi? Il tempo è circolare, come in una sorta di ripetizione della «banalità del male» dei sistemi autoritari alla quale sembra facile adeguarsi, modellandovi il proprio stare al mondo. Contro chi invece non accetta, opponendo la linea delle proprie convinzioni. Nel suo racconto morale (produzione tedesca, i suoi film non escono in Iran), di cui si intuisce l’urgenza, che i sogni di ribellione li affida a Bella ciao versione Milva, Rasoulof mette in gioco per primo se stesso, il ruolo dell’artista che non deve essere per forza speciale ma come i personaggi che hanno compiuto dei gesti di ribellione viene messo in isolamento, e l’elemento dell’esperienza dell’autore, del vissuto di questi ultimi anni è senz’altro importate.
MA NON È SOLO questo: perché oltre i confini dell’autobiografia si intuisce il mondo, il nostro tempo con sfumature diverse, certo, secondo i luoghi ma con un’uguale tendenza alla formattazione del pensiero: tutto diviene consuetudine anche le cose più terribili, tutto fa parte del nostro orizzonte. Da qualche parte però ci sono margini, gesti inattesi di resistenza, si può ricominciare da lì.