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Andy vs Mario, sentieri pop art

Andy vs Mario, sentieri pop artWarhol e Schifano a Pescara all’Imago Museum

Entrambi sperimentatori, entrarono in contatto con quella controcultura che negli anni Sessanta espresse il suo lato eversivo e innovativo, il rock Ha riaperto a Pescara, nel nuovo polo museale Imago Museum, inaugurato da poco, dedicato all’arte moderna e contemporanea e promosso e realizzato dalla Fondazione Pescarabruzzo, una mostra (aperta al pubblico […]

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 29 maggio 2021

Ha riaperto a Pescara, nel nuovo polo museale Imago Museum, inaugurato da poco, dedicato all’arte moderna e contemporanea e promosso e realizzato dalla Fondazione Pescarabruzzo, una mostra (aperta al pubblico fino a settembre) che affianca due geni della pop art, Andy Warhol e Mario Schifano, con centinaia di opere dei due autori.
Affiancati e messi a confronto tra similitudini e correlazioni ma con anche evidenti divergenze. Entrambi sperimentatori, al passo con il loro tempo, spesso anticipatori e conseguentemente entrati in contatto con quella controcultura che negli anni Sessanta espresse al meglio il suo lato eversivo e innovativo, prima di essere progressivamente e definitivamente omologata e industrializzata, il «rock».
Il flirt tra arte e musica rock è sempre stato frequente e non si contano gli esempi di alto profilo che hanno caratterizzato copertine, poster, loghi e le stesse canzoni. Non mancano autori celebri con un talento che esulava dal semplice ambito musicale ma si spostava con risultati più che apprezzabili nella pittura o grafica (da John Lennon a David Bowie al chitarrista dei Rolling Stones, Ron Wood, eccellente pittore).
Inutile sottolineare come il connubio più importante, famoso e meglio riuscito, sia stato quello tra Andy Warhol e alcune tra le espressioni più autorevoli del rock’n’roll. Warhol è stato l’artefice della popolarità iconica del primo album omonimo dei Velvet Underground & Nico del 1967, uno dei lavori più importanti nella storia della musica rock. La sua «produzione» non ebbe nulla a che fare con l’aspetto sonoro ma furono sue la celeberrima copertina con la banana (nella prima edizione rappresentata da un adesivo «sbucciabile») e l’idea del light show che accompagnò i primi concerti.

PIETRA MILIARE
Il disco vendette davvero poco ma a posteriori fu rivalutato e considerato una pietra miliare della musica pop contemporanea, oltre ad avere influenzato generazioni di nuovi musicisti. Anche la copertina di Sticky Fingers dei Rolling Stones (per i quali provvederà anche a quella di Love You Live) con tanto di vera zip che apriva i jeans del modello Joe Dallesandro (nonostante si fosse spesso ipotizzato si trattasse dello stesso Mick Jagger) fu opera sua e così perfino Made in Italy della «nostra» Loredana Berté (della quale divenne intimo amico) e Milano-Madrid di Miguel Bosè. Il suo interesse per l’ambiente rock sarà ricambiato da David Bowie con la sua Andy Warhol (che, a detta dello stesso Bowie, Warhol odiava e quando gliela fece ascoltare alla Factory, non fece altro che girare le spalle e andarsene), da Lou Reed con Andy’s Chest, che, successivamente, nel 1988, dopo la sua morte, avvenuta un anno prima, si ritroverà con l’ex sodale dei Velvet Underground, John Cale, per omaggiare il loro mentore con lo strepitoso album Songs for Drella (soprannome di Andy, unione di Dracula e Cinderella/Cenerentola a rappresentazione dei due suoi antitetici caratteri).
«Warhol più che al contenuto specifico dell’immagine è interessato alla sua qualità meccanica e al trattamento che l’immagine stessa riceve dai mass media; quando impiega i colori ad olio lo fa in maniera meccanicamente esatta, conforme, identica, all’autentico… nella sua rappresentazione non esiste partecipazione o compromissione dell’artista con il soggetto rappresentato, trasmutato definitivamente in prodotto» (Generoso Bruno dal catalogo della mostra). Il concetto di pop art warholiano (inteso, in maniera generica come «arte popolare») si riassume bene nella sua dichiarazione dal libro The Philosophy of Andy Warhol. From A to B & Back Again: «Quel che è davvero grande in questo paese è che in America si è affermato il costume secondo cui il consumatore più ricco compra essenzialmente le stesse cose del consumatore più povero. Liz Taylor beve Coca-Cola e anche tu puoi berla e nessuna somma di denaro ti può garantire una Coca migliore di quella che beve il barbone all’angolo della strada. Liz Taylor lo sa, lo sanno il presidente e il barbone e anche tu lo sai».

CONCETTUALE
Il percorso di Mario Schifano è solo apparentemente simile, anche se cammina negli stessi sentieri della pop art. I due si incontrano nel 1963 a New York e si piacciono ma l’italiano ha un approccio completamente diverso. Schifano dipinge, non replica serigraficamente le immagini. «La Coca-Cola di Schifano non omaggia una merce le cui proprietà materiali sono già quelle della mercificazione, bensì la pittura e con essa i suoi pittori di insegne. L’operazione concettuale che Schifano istintivamente compie non riguarda il semplice trasferimento dell’immagine dal contesto visivo dell’iconosfera urbana al supporto pittorico, ma sulla tela direttamente o sul velo zigrinato della carta da pacchi, la mano dell’artista muove verso la neutralizzazione significante dello stigma del proprio tempo. Gli emblemi privati della funzione e del significato originario, si dischiudono a nuove letture e ulteriori livelli di percezione e significato» (ancora Generoso Bruno dal catalogo della mostra). Anche Schifano realizza il «suo» Velvet Underground italiano. Le Stelle di Mario Schifano, gruppo psichedelico di cui l’artista entra a far parte effettiva, pur non suonando nulla, riprendono il progetto di Warhol con Lou Reed e soci, realizzando nel 1967 l’album Dedicato a (come accadde ai Velvet Underground, vendette pochissime copie, ora ricercatissime dai collezionisti, grazie anche e soprattutto alla confezione grafica curata dall’artista con copertina argentata e l’interno sfogliabile con le foto del gruppo ritoccate) e suonando un primo concerto a Roma con il film dello stesso Schifano, Anna Carini in agosto vista dalle farfalle, proiettato sui musicisti sul palco, poi a Torino e infine al Piper di Roma, presente anche Gerard Malanga della Factory, con quattro schermi panoramici su cui vengono riprodotte immagini dalla guerra in Vietnam e film dell’artista. Nei suoi frequenti viaggi a Londra conosce i Rolling Stones, inserisce una partecipazione di Mick Jagger e Keith Richards (oltre a Carmelo Bene e Alberto Moravia, tra gli altri) nel suo film del 1969, Umano non umano e intraprende una chiacchierata relazione con l’ex di Mick, Marianne Faithfull. Jagger e Richards ricambiarono l’amicizia dedicandogli il brano degli Stones, Monkey Man da Let It Bleed del 1969 («I’m a cold italian pizza…» recita uno dei primi versi). Non dimenticando la copertina disegnata per uno dei più significativi album italiani dei Sessanta, Stereoequipe dell’Equipe 84.
«Tra Warhol e Schifano lì dove l’arte pop prova ad elevarsi a classicità contemporanea, la pittura – il più classico dei mezzi della rappresentazione – disperatamente prova ad aggrapparsi alla vita moltiplicata del tempo presente. Se Warhol è identificabile in un processo statico, per i suoi procedimenti di isolamento, dilatazione e ripetizione seriale dell’immagine, per convesso, Schifano pone dinamicamente il soggetto rappresentato nella condizione di poter forzare i margini dello spazio di rappresentazione e di proseguire la sua proiezione oltre il limes pittorico. Il confronto tra un artista che quasi non dipingerà mai ed un altro che invece proverà, nello spazio della società contemporanea, ad elevare la pittura a medium di massa, non può che procedere, concettualmente, per scarti. È solo nella lettura di questi movimenti contrapposti che, per approssimazione, possiamo avvicinarci ad una verità possibile» (Bruno Generoso dal catalogo).

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