Lo ha confermato: con la presidente della Camera Laura Boldrini andrà all’apertura del Pride nazionale di Palermo il 14 giugno, e non c’è niente di strano per la ministra delle pari opportunità, Josefa Idem, che oltre a essere una persona disponibile non ha paura di dire quello che ha in testa. «Parlo col cuore e dico apertamente quello che penso», confessa mentre siamo sedute sulle poltroncine del suo ufficio, «e dire che andrò al gay pride mi sembra una cosa normale. Il fatto che molti si siano mervigliati, è la vera anormalità». Idem è entrata nella squadra di governo come una sorpresa ed è una donna che nella sua vita ha vinto diverse medaglie grazie a un rigido pragmatismo. «Come ho già detto, lavorerò per una legge sull’omofobia e la transfobia – dice – perché nella mia vita mi sono sempre adoperata sui diritti delle persone mettendomi in ascolto, e mi sono accorta che ci sono tre tipi di soluzioni: quelle che funzionano, quelle che non hanno a che fare con il problema, e quelle che non verranno attuate. Nel mio metodo si tende al primo tipo di soluzione».

Anche sulla violenza contro le donne è applicabile questo sistema?

Non sono una sociologa, ma il cambiamento culturale è fondamentale per i diritti, compresi quelli delle donne.

Subito dopo il suo insediamento ha parlato di una task force sul femminicidio.

Sì e la stiamo facendo. Diciamo che sono 10 giorni che prepariamo la regia.

In che modo?

Il punto è il metodo. Ogni problema fa parte di un sistema più complesso e ha diversi aspetti che vanno considerati. Quando ti prepari a una gara non devi solo allenarti, ma devi mangiare sano, fare prevenzione, terapia, avere un buon materiale.

Cioè?

Agire all’interno del sistema e avere un approccio di squadra: questo è quello che sto cercando di fare con i dicasteri coinvolti sulla violenza che sono interno, giustizia, salute, lavoro, istruzione, università, economia e finanze. Lavoreremo con mini tavoli con l’auspicio di una relazione diretta con i tavoli interministeriali.

Che tipo di lavoro è?

L’obiettivo è un’indagine che ogni ministero fa sulla violenza rispetto alla sua competenza per vedere cosa funziona e cosa non funziona. Parallelamente ci saranno piccoli tavoli coordinati dalle pari opportunità dove parla la società civile che è un elemento fondamentale, anche lì ognuna con la sua competenza. C’è bisogno di voci autentiche.

E come saranno scelte le associazioni?

Dopo l’audit fatto a Roma sto continuando ad ascoltare, poi faremo un bilancio di competenze.

I centri antiviolenza ci saranno?

Sono fondamentali. Sono loro che finora hanno salvato le donne con un grande sforzo di volontà e che devono essere messi in sicurezza, devono essere stabili e avere fondi costanti.

Ma i soldi ci sono?

Di solito non ci sono mai soldi ma quando si sviluppa la sensibilità delle persone, a un tratto si trovano. Perché se un tema diventa cultura, si può trasformare in azione politica.

Lei ha parlato di un decreto legge sul femminicidio, lo farà?

Bisogna prima ascoltare chi lavora sul territorio e vedere cosa esce dal confronto interministeriale, solo dopo penseremo al decreto. Voglio un’azione che sia vicino alla realtà, non pura teoria o ricette precostituite.

Con un governo di destra e sinistra insieme, che hanno anche posizioni diverse rispetto al femminicidio, non sarà così semplice.

Non ho mai fatto previsioni sugli esiti. Si vedrà di cosa c’è bisogno solo nel momento in cui ci saranno dati alla mano e dopo un confronto con una larga fetta della società. Allora vedremo come agire: la realtà è una.

Cosa pensa delle donne che ha incontrato?

Che hanno la giusta cocciutaggine, motivazione, una nobilità d’animo fuori dal comune, ma anche un senso d’impotenza.

Perché?

Perché mancano le risorse ma anche gli strumenti. Malgrado tutto l’impegno che queste donne ci mettono, il problema non tocca le coscienze nel profondo. Insomma non ci si rende ancora conto che questa è una lesione dei diritti fondamentali, e che se è vero che una donna su tre ha subito violenza, si tratta di un fenomeno di dimensioni enormi.

Quindi non c’è la giusta percezione?

L’ignoranza crea situazioni che proliferano e un punto sono gli stereotipi. Nella scuola, per esempio, va fatto un intervento che metta in funzione il senso critico andando in profondità. Fabiana, prima di essere uccisa dall’ex, è stata picchiata da lui davanti agli amici. La percezione della violenza e il suo il riconoscimento ci deve essere non solo quando una donna viene uccisa ma prima. Il padre di Fabiana aveva denunciato il ragazzo a gennaio e la figlia a maggio è stata uccisa.

Forse si doveva intervenire in maniera diversa?

Certo, a partire da chi lavora sulla violenza contro le donne. Le forze dell’ordine e la giustizia non devono sottovalutare il pericolo che una donna corre quando viene perseguitata, picchiata. L’atteggiamento di un qualsiasi interlocutore in tema di violenza deve dare il giusto peso alla situazione, perché in ballo c’è il rischio di vita.

E come si fa?

Se una donna che ha subito violenza entra in una stazione di polizia con i lividi addosso e esce senza aver fatto denuncia, bisogna andare a vedere perché non ha denunciato, e deve scattare un’indagine. La stessa cosa deve avvenire se si tratta con leggerezza una violenza in un’aula di tribunale: se una donna si vergogna, ha paura, c’è qualcosa che non funziona.

Se la violenza contro le donne non viene percepita nella giusta dimensione, su quella assistita o subìta dai minori in famiglia si ha l’impressione che sia un tabù.

Questo è un fenomeno che mi indigna prima di tutto come essere umano. E sono certa che affrontare il femminicidio non è possibile se non riusciamo a proteggere i nostri bambini. Se è vero che esiste violenza e abuso domestico sui bambini e noi non lo sappiamo, dobbiamo fare una cosa: indagare con forza.

Allora ci vorrebbe una commissione d’inchiesta?

Non sono contraria a una commissione d’inchiesta, credo ci sia anche in ballo un disegno di legge, se la fanno, l’appoggio.