La sua era una figura che non passava inosservata, sorriso enigmatico, a volte appena divertito, il gesto pacato come la parola che appariva singolare nel via vai frenetico che caratterizza (caratterizzava?) i festival di cinema, come la capacità di ascoltare distillando cura e amore per ogni «sua» immagine. Andres Pfäffli era divenuto negli anni, insieme a Elda Guidinetti, una delle figure di riferimento per quel cinema d’autore indipendente che viaggia nel mondo sfidando convenzioni e mercati. Ventura film, la loro società, era nata proprio con questo obiettivo nel 1991, cercando di rispondere a un desiderio che fondava la loro complicità, quello cioè di produrre un cinema capace di superare le frontiere, di esplorare, di denunciare «nella forma e nel contenuto, nei documentari creativi e nei film di finzione».

DA QUI SONO iniziate molte avventure produttive, opere che hanno lasciato un’impronta nell’immaginario, pensiamo a No quarto da Vanda (2000) o Juventude em Marcha (2006) di Pedro Costa, Los Muertos di Lisandro Alonso ( 2004) e ancora a Le quattro volte (2010) di Michelangelo Frammartino perché Ventura a un certo cinema italiano ha dato sempre molta attenzione – nella sua filmografia troviamo tra gli altri Corso Salani (Mirna, 2009), Alina Marazzi (Tutto parla di te, 2013 e Vogliamo anche le rose, 2007), Emma Dante (Via Castellana Bandiera, 2013), Antonio Piazza e Fabio Grassadonia (Sicilian Ghost Story, 2017), Silvio Soldini (Il colore nascosto delle cose, 2017).

DOMENICA scorsa Andres Pfäffli è morto, era nato a Zurigo nel 1954, studi di Storia aveva iniziato a lavorare nel cinema nel 1979, prima come distributore, poi arriva la produzione con qualche esperienza di regia. Gli amici, chi ha lavorato insieme a lui ricordano la sua intelligenza, la sua umanità, l’amore per la vita e una «capacità di guardare sempre avanti» – in cui si rispecchiano i risultati, e prima ancora le scelte di questi anni di lavoro. Che ci dicono anche qualcos’altro, ci parlano di un metodo, di un’idea di fare produzione che è ancora passione per un certo cinema non formattato, non «facile», di fronte al quale in molti esiterebbero o sarebbero poco convinti, un cinema che anche nei suoi passaggi meno riusciti contiene in sé un progetto, un senso dell’immagine e dello sguardo. Non accade di frequente, non è mai facile specie oggi, per questo la sua è una lezione preziosa.