È sempre viva la discussione se la musica sia o no linguaggio. Debussy tagliava corto affermando che la musica comincia dove finisce il linguaggio. L’analogia con il linguaggio ha origini nella teoria musicale tardo antica e medievale, da Sant’Agostino in poi. I linguisti moderni escludono che la musica sia linguaggio per il fatto che non c’è certezza semantica. Credo, però, che l’equivoco nasca da un presupposto sbagliato: che il linguaggio verbale sia l’unico strumento del pensiero umano. E anche l’unico sistema di comunicazione. Mentre il linguaggio è certamente un sistema di comunicazione non tutti i sistemi di comunicazione sono linguaggio.

E così pure si può dire che esistono diversi modi di rappresentare il reale, di manifestare il proprio pensiero sul reale. Il pittore lo fa con il disegno e con i colori. Il musicista con i suoni. Ma sia un quadro sia una composizione musicale esprimono un pensiero sulla realtà, anche se questo pensiero non può essere tradotto in concetti.

Se la musica, la pittura pensano, ma non con il linguaggio verbale, allora, ci suggerisce Andrej Gavrilov con il primo cd di una serie che ha per titolo Music as Living Consciousness (Da Vinci Classics C00330, davinci-edition.com € 9,90, Amazon, € 16,30) capire la forma, la struttura di una composizione musicale è sì importante, anzi indispensabile, sia per l’interprete sia per chi ascolta, ma non ci dice quasi niente sul pensiero musicale che ha strutturato la forma. Ciò diventa chiarissimo quando si confrontano stili diversi. Una composizione di Bach è molto diversa da una composizione di Mozart, di Beethoven, di Schumann.

Ma è possibile che sotto la differenza stilistica si nasconda un pensiero musicale che le assimila. Per esempio un modo di concepire il rapporto tra melodia e armonia, in tutti e quattro assai complesso, contrappuntistico. Nel caso invece di un’aria di Bellini o di una canzone popolare, si ascolterà una musica il cui pensiero è quasi esclusivamente melodico, quasi solo canto. Wagner tentò di orchestrare in maniera più densa, più complessa l’orchestra della Norma di Bellini. Ma rinunciò presto, perché capì che il pensiero di quella melodia stava tutto nella melodia stessa e che complicare il suo sostegno orchestrale ne stravolgeva il senso, ne modificava il pensiero. In questo primo cd Gavrilov mette a confronto due tra le prime composizioni pianistiche di Schumann, Papillons op. 2, e gli Studi Sinfonici op. 13, con i Quadri di una esposizione di Modest Musorgskij (nella copertina del cd i nomi e i titoli sono in inglese, com’è ormai consuetudine di quasi tutte le case discografiche).

L’attacco dei Papillons già illustra l’impostazione interpretativa di Gavrilov. Ciò che rende difficile, se non pressoché impossibile, disperata, l’interpretazione di una pagina di Schumann è la sua costante imprevedibilità. Atteggiamenti anche contrastanti sono accostati senza nessuna preparazione. E magari partendo da un’unica idea, che sembra ogni volta mostrare una faccia diversa di sé stessa. Gavrilov attacca il pezzo quasi esitando, come un improvvisatore che insegua un’idea. Dinamica, scansione liberissime, anche se, partitura alla mano rispettato alla lettera ciò ch’è scritto. Ma tutto ciò non frammenta l’esecuzione, bensì le conferisce un carattere di fluida continuità, come se la cifra fosse proprio questa imprevedibile libertà di fraseggio, di ritmo, di dinamica. Ecco il pensiero che sottende alla musica di Schumann. E poi a quella di Musorsgkij: la libertà di una musica che cerca il suo punto di appoggio, senza trovarlo, se non alla fine. Marziale, trionfalistico, in Schumann, ma con la tristezza che tanta esplosione sonora sia effimera, sprofondi nel nulla. E infine con la visione solenne della Grande porta di Kiev, in Musorgskij. Abbandonatevi, ascoltate: sarà un’avventura e dell’emozione e del pensiero.