Impressiona la sicurezza, la pulizia nell’esecuzione e il fraseggio. Non una nota fuori posto. L’appena ventunenne Andrea Motis – da Barcellona, ha tutti i numeri per diventare la prossima «big thing» grazie a uno stile personale che affianca alla riproposizione degli standard classici del jazz, un linguaggio tipicamente pop. Emotional Dance (edito per la Impulse, per intenderci l’etichetta per la quale hanno inciso in passato John Coltrane, Milt Jackson, Art Blakey…) rappresenta il suo debutto: quattordici brani, dieci classici scelti setacciando il songbook internazionale fra i capolavori dei sommi maestri: Cole Porter (You’d be so nice to come home to), Horace Silver (Silver blues), Jobim e De Moraes (Chega De Saudade) e quattro composizioni originali scritti dalla stessa Motis (I didn’t tell them why, If you give the more than you can, Save the Orangutan, Emotional Dance), decisamente di buona fattura.

Canta in inglese, catalano e portoghese, con un accento impeccabile e suona la tromba con perizia e passione, tanto che qualcuno è andato a scomodare perfino la buonanima di Chet Baker. Di certo Andrea è esecutrice attenta e studentessa modello a cui sono serviti i dieci – faticosi – anni di studio trascorsi alla Sant Andreu, una delle scuole di musica più importanti della sua città, e li mette in pratica con una naturalezza disarmante.

Ad aiutarla anche una lunghissima gavetta nei jazz club di Barcellona: «A undici anni – confessa – giravo già con una band, e questo è stato fondamentale per darmi delle sicurezze». Per il disco – inciso un anno fa negli studi Carriage House a New York, con il sostegno di un produttore del calibro di Jay Newland (Norah Jones e Gregory Porter nel curriculum) si è mossa con la sua band composta dal suo maestro Joan Chamorro insieme a Brian Bach – i due hanno affiancato Newland alla produzione dell’album, il pianista Ignas Terraza, il chitarrista Josep Traver e il batterista Esteve Pi. In America – ovvio visto che si tratta di una produzione internazionale su cui molto si punta – si sono aggiunti pezzi da novanta come Warren Wolf al vibrafono, Scott Robinson al sax baritono, Joel Frahm al tenore e Gil Goldstein alla fisarmonica.

«Il mio stile – ha raccontato in una delle interviste rilasciate in queste settimane di frenetica promozione – è ovviamente influenzato dal jazz, che ascolto molto, ma anche da un repertorio più leggero. Nel disco ho voluto inserire quello che mi rappresenta e le mie radici. Ad esempio, quando stavo cercando dei pezzi in catalano mi sono indirizzata su La gavina di Sirés e Puig, la suonavo da studente e mi ha sempre incantato. Averla arrangiata con piglio jazz, mi permette ora di inserirla in repertorio ed eseguirla dal vivo».