Andrea Dili, presidente Confprofessioni Lazio, qual è il problema più grande: i parlamentari che hanno ricevuto il bonus dei 600 per le partite Iva, oppure le leggi che lo hanno permesso?
Sono state approvate norme troppo frammentate che hanno creato disparità tra le categorie. C’è chi ha preso tutto e chi nulla. Prima si sono erogati bonus incondizionati che sono andati sia a partite Iva di natura imprenditoriale che ai co.co.co. con rapporti lavorativi continuativi. A maggio sono stati definiti criteri diversi sulla perdita di fatturato tra professionisti e artigiani e commercianti che hanno determinato trattamenti diversi e creato altre iniquità. Lo avevamo denunciato in più sedi: oggi ci si straccia le vesti per tre o cinque parlamentari che hanno legittimamente richiesto il bonus. Il loro è un problema etico e di opportunità politica. Queste persone non avrebbero dovuto chiedere il bonus, visto quello che guadagnano. Ma devono essere i partiti a fare chiarezza, magari prendendo provvedimenti invece di fare post su Facebook.

Che senso ha prevedere un bonus di 600 euro per tre mesi per liberi professionisti che guadagnano fino a 50 mila euro?
Io l’avrei fatto più basso, ma va considerato che è un reddito lordo, in più era ed è condizionato alla perdita di un terzo del fatturato. Ci potrebbe anche stare. Va anche detto che gli unici a cui è stato imposto un limite di reddito sono stati i professionisti ordinisti. Tutti gli altri hanno preso l’indennità senza alcuna condizionalità. Noi volevamo interventi selettivi delle casse che conoscono le esigenze degli iscritti, e potevano concentrare gli interventi su chi aveva più bisogno e chi è stato più colpito dalla crisi. Non si può mettere sullo stesso piano il professionista che lavora nelle città lombarde colpite subito dalla pandemia e chi altrove ha continuato a lavorare.

Gli avvocati di M.G.A. hanno denunciato che alcuni proprietari di studi di avvocati hanno incassato i bonus dei collaboratori detraendoli dalle loro fatture. È un caso isolato?
Non lo credo purtroppo. In questi mesi ci sono state più segnalazioni di questo tipo, sono casi che assomigliano a quelle aziende che hanno usufruito della cassa integrazione e ha continuato a fare lavorare i dipendenti. Sono cose che vanno denunciate, anche perché sono contrarie alla legge. Gli aiuti erano e sono condizionati ai danni subiti. È una truffa.

Non dovrebbe essere il governo a spiegare le ragioni per cui ha creato un sistema emergenziale che ora mostra i limiti?
Loro dicono che lo hanno fatto per una questione di rapidità durante i mesi del lockdown. Le casse professionali hanno dimostrato di essere in grado di erogare indennità con i limiti di fatturato e reddito. Alcune hanno sperimentato questo metodo durante le calamità naturali. Lo si poteva fare anche in occasione della pandemia. E avrebbe potuto farlo anche l’Inps. Sarebbe bastato mettere tetti e fare verifiche a posteriori. Come è stato fatto a maggio. Come Confprofessioni abbiamo chiesto che fossero messi limiti e che gli interventi non fossero fatti a pioggia. Bisognava concentrarli su chi è stato colpito di più dalla crisi. È inutile dare 600 euro a tutti. Meglio darne 5 mila a chi ne ha più bisogno.

Per la prima volta un governo si è accorto che le partite Iva sono lavoratori e hanno bisogno di ammortizzatori sociali. Tuttavia sono durati solo tre mesi. Le partite Iva non ne hanno più bisogno?
Al contrario, è dimostrato invece che esiste un bisogno totale di un sistema di ammortizzatori sociali diffusi e universali.

Non crede che manchi una visione generale capace di affrontare le nuove questioni del welfare nella crisi?
È questo il problema. Non vedo un disegno generale, ma bonus e parametri differenziati in base alle categorie. Gli ammortizzatori sociali devono essere ispirati a un criterio universale. Si può ragionare in misura unitaria tra lavoro autonomo e dipendente. Dieci giorni fa l’assemblea del Cnel ha approvato una proposta in questo senso che sarà presenta in parlamento. Spero ci siano parlamentari disponibili a sostenerla.

In cosa consiste?
Il criterio è un sistema assicurativo analogo a quello della Dis-Coll o della cassa integrazione dove con un prelievo minimo si finanzia un fondo che interviene in caso di cali di reddito rispetto alla media degli anni precedenti. È un sistema che scoraggia le truffe perché più si è dichiarato prima più si ha diritto a percepire l’ammortizzatore sociale.

La ministra del lavoro Catalfo ha annunciato una riforma delle casse integrazioni. La vostra proposta potrebbe rientrare in questo ambito?
Penso sia opportuno che chi si appresta a fare una simile riforma dia un’occhiata a una proposta sostenuta dalla totalità delle parti sociali e si confronti anche con le partite Iva. È un’esigenza diffusa ovunque.