La lista delle star che hanno prestato la loro voce al nuovo film in stop motion di Wes Anderson è molto lunga: «Far parte di questo gruppo è come essere nel video di We Are the World» scherza infatti Bill Murray, che in Isle of Dogs – il titolo che ieri ha inaugurato la sessantottesima edizione della Berlinale – «interpreta» Boss, uno dei tanti cani protagonisti deportati dal sindaco «gattofilo» di un’immaginaria città giapponese su un’isola sommersa dai rifiuti. Con Murray, insieme al regista e i due sceneggiatori – Jason Schwartzmann e Roman Coppola – ci sono il protagonista Bryan Cranston – l’unico randagio del branco, Chief – Jeff Goldblum, Liev Schreiber, Bob Balaban, Greta Gerwig e Tilda Swinton.

Tutto è partito, racconta il regista, proprio dai cani: «Io, Jason e Roman volevamo raccontare la storia di un gruppo di cani abbandonati in una discarica. Da un paio d’anni inoltre parlavamo della possibilità di fare un film in Giappone: abbiamo capito che la nostra storia stava prendendo vita quando ci è venuta l’idea di ambientarla in un Giappone immaginario e futuristico».

Invece che girare in computer grafica il regista – per la quarta volta a Berlino dopo il debutto con I Tenenbaum, Le avventure acquatiche di Steve Zissou e l’Orso d’argento del 2016, The Grand Budapest Hotel – ha optato per una tecnica che lui stesso definisce «old school»: la stop motion appunto, che gli ha consentito di lavorare con i modellini in miniatura. «Ho scoperto di amarli moltissimo mentre giravo The Grand Budapest Hotel: mi fanno pensare alla storia del cinema, adoro quando ne spunta uno in un film di Hitchcock o di Carol Reed». Il cinema che Anderson dice di voler omaggiare con Isle of Dogs è però quello di Akira Kurosawa e specialmente di Hayao Miyazaki: «Mi sono appassionato all’animazione giapponese ai tempi di Fantastic Mr.Fox. Ho cercato di ricrearne i dettagli, i silenzi, la rappresentazione della natura e il particolare ritmo, che è molto diverso da quello dell’animazione americana tradizionale». Nel Giappone immaginario di questo nuovo film di Anderson ritroviamo quindi molte delle sue passioni, ma anche dei più insoliti riferimenti alla realtà contemporanea – e alla Storia – i cui drammi sono evocati con levità nella deportazione di massa dell’intera popolazione canina.

«Con gli sceneggiatori – sottolinea il regista americano – ci siamo detti che dovevamo inventarci anche una dimensione ‘politica’ di questa città frutto della nostra fantasia, e abbiamo preso l’ ispirazione da quello che vedevamo accadere intorno a noi», spiega il regista. «Abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto anni fa, da allora il mondo è molto cambiato. E ci sembra che ora sia proprio il momento giusto per fare uscire questa storia nei cinema».