Anti Beatles e post Beatles. Come per tutte le religioni, anche quella della musica basa il suo calendario a partire dalla comparsa della propria figura di riferimento. E gli scarafaggi lo sono stati. Forse più di tutti. Forse. Nothing is Real, la mostra in corso fino al 2 ottobre al MAO – Museo d’arte orientale- di Torino, prende in considerazione i due anni che vanno dalla pubblicazione di Sgt.Pepper’s al doppio conosciuto come White Album. Nel mezzo c’è il celeberrimo viaggio in India, a Rishikesh, alla ricerca di una rigenerazione spirituale di cui George Harrison, più di tutti, era il fautore. È quello il momento in cui gli ex baronetti trovano le loro forti individualità. Cambiano il loro stile autoriale mentre intorno il boom economico sta inesorabilmente perdendo la propria solidità anche sotto il peso, inarrestabile, della contestazione.

C’è spazio e necessità di un nuovo flusso economico, politico e anche estetico. Arte, filosofia, mistica. «È più interessante l’estetica della politica in quegli anni – dice Luca Beatrice, il curatore – prova ne sono le mille fanzine prodotte in casa a costo quasi zero ma con una dose di fantasia e creatività immensa». Beatrice non ama le cose statiche, da specialisti «sono convinto che bisogna creare dei linguaggi attraverso stili che siano la combinazione di diversi elementi». Questa è una mostra che racconta l’India, di come l’occidente di quell’epoca ne fosse rimasto colpito, affascinato, sedotto. Di come l’arte ne abbia anche deviato un poco la natura per adagiarcisi sopra e trovare un luogo da sogno di cui narrare. «Di solito quando si parla del ’68 – continua Beatrice – se ne parla in chiave essenzialmente politica, qui mi piaceva trattarlo in chiave estetica». Quel viaggio segna la contaminazione, tra alto e basso, in anticipo su ciò che avverrà nel postmoderno. Nothing Is Real nasce da qui, il titolo è ispirato da un verso di Strawberry Field Forever «nothing is real and nothing to get hungabout».

I Beatles si trovano in una dimensione altra, sinergicamente mescolata alle droghe, tra misticismo e psichedelica. L’arte farà altrettanto. E nel MAO c’è una rappresentazione di tutto ciò con una cavalcata in 11 sale: dai memorabilia beatlesiani raccolti da devoti collezionisti alle fotografie di Pattie Boyd, ex fidanzata di Harrison e amante di Clapton; dall’icona di Siddharta alle prime edizioni di manuali di viaggio e libri e guide per raggiungere e stare in India senza soldi; dal reportage televisivo di un giovane Furio Colombo a Rishikesh negli stessi giorni dei fab 4 a Wonderwall di Massot; dalle ceramiche di Sottsass alle opere di Boetti, Ontani, Clemente, Passarella. Dal punto di vista della pubblicistica riviste come Paris Match, Telegraph e Life s’incuriosiscono e avvicinano al tema del viaggio come scoperta del sé.

E poi album, fumetti, fanzine, editoria indipendente e contro culturale, totalmente al di fuori del mainstream. Il mondo della musica, più di tutti gli altri, da Joni Mitchell ai The Fool, scoprì l’India psichedelica con copertine pazzesche tracciate di yoga, droga e sesso libero. C’è anche la seduzione della meditazione «l’incontro dei Beatles con l’India ha salvato anche tanti ragazzi di quell’epoca». Shel Shapiro è sempre molto sixties, in questo senso l’età gli fa un baffo. Ospite d’onore all’inaugurazione come rappresentante d’onore di un’epoca che, almeno nell’immaginario, non è mai finita nell’ attrazione che esercita.

«Una gran parte di ragazzi che si sarebbero buttati, o forse già lo avevano fatto, sulle droghe pesanti, ha valutato seriamente l’alternativa della meditazione come ricerca di un mondo migliore. E c’è stato anche un grande romanticismo intorno a queste cose: la pace e l’amore. In fondo, però, eravamo tutti figli della beat generation».