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Ancora una strage, sei palestinesi uccisi

Ancora una strage, sei palestinesi uccisi

Gaza Quattro degli uccisi dal fuoco dei tiratori scelti israeliani sono stati colpiti ad al Bureji, gli altri due a Gaza e Rafah. Circa 200 i feriti. Israele da parte sua parla di incursione palestinese nel suo territorio e di lanci di ordigni esplosivi

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 13 ottobre 2018

Un nuovo bagno di sangue ha segnato “L’Intifada di Gerusalemme”, il 29esimo venerdì di manifestazioni di protesta contro l’embargo di Gaza lungo le linee di separazione con Israele. Circa 14mila palestinesi ieri hanno raggiunto gli accampamenti allestiti ad alcune centinaia di metri dalle barriere israeliane. Hanno bruciato pneumatici e lanciato sassi ai soldati appostati in cima a cumuli di terra dall’altra parte delle barriere. Dozzine di manifestanti non hanno esitato ad avvicinarsi alle postazioni militari nonostante gli spari. Sei sono stati uccisi. Altri 200 feriti, 140 dei quali da proiettili. Quattro degli uccisi – Ahmed Zaki 27 anni, Mohamed Ismail 29, Ahmed Abu Naim 17 e Abdullah Daghma 25 – stavano manifestando all’altezza di al Burej quando sono stati colpiti. Gli altri due morti sono Tamer Abu Ermanah, 26 anni, e Mahmoud Afifi, 18, il primo colpito a Rafah, il secondo a est di Gaza.

Da parte sua Israele denuncia una “incursione” all’interno del suo territorio, il lancio di ordigni esplosivi e di palloncini incendiari. Nessuno dei suoi soldati è rimasto ferito.

Quello di ieri è uno dei bilanci più gravi dall’inizio della Marcia del Ritorno il 30 marzo. A maggio oltre 60 palestinesi furono uccisi in un solo giorno. Per tutta l’estate si è parlato di un accordo di tregua, mediato dall’Egitto e dall’Onu, tra Israele e il movimento islamico Hamas che controlla Gaza. Ma l’intesa appare ancora lontana. A Gaza la situazione umanitaria è disastrosa. Non ha portato grande beneficio l’arrivo di forniture di gasolio per la centrale elettrica, grazie a donazioni fatte dal Qatar. Ieri sera sono state interrotte per ordine del ministro della difesa israeliano Lieberman.

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