Calano i conservatori del Ppe, ma non avanzano i socialisti del Pse: con molta probabilità, la nuova legislatura dell’Eurocamera vedrà ancora una volta primeggiare la famiglia politica di Angela Merkel. Il buon risultato del Pd, la crescita della Spd e del Labour, senza dimenticare la grande affermazione dei socialisti rumeni, non sembrano sufficienti a produrre quel ribaltamento dei rapporti fra i due gruppi maggiori: e quindi il lussembrurghese Jean-Claude Juncker sembra avvere maggiori chances di convertirsi nel prossimo presidente della Commissione europea. Alla guida di una «maggioranza» che quasi inevitabilmente sarà di «grande coalizione».

Non ci sono i numeri, infatti, per immaginare altri scenari. Ammesso e niente affatto concesso che i protagonisti li cerchino veramente, scenari diversi. Non è un mistero, infatti, che le «larghe intese» siano da tempo il progetto per il governo dell’Ue che hanno in mente nelle principali cancellerie. Quelle dove ancora, purtroppo, si decide la politica comunitaria. I calcoli sono presto fatti: nessuna alleanza organica – di centrosinistra (socialisti, verdi, Sinistra europea) o di centrodestra (democristiani e liberali)- avrebbe, stando ai primi risultati, più di 377 seggi: quelli necessari a formare una maggioranza sul totale di 751 membri.

Nel risultato socialista pesa il tracollo del Ps francese, e anche la pesante battuta d’arresto del Psoe spagnolo. E a salvare il vantaggio del Ppe ci pensano i conservatori polacchi e – guarda un po’ – nientemeno che Silvio Berlusconi. Assottigliandosi la differenza fra i due maggiori gruppi, il drappello di Forza Italia si rivela molto prezioso per la compagine di Merkel e Juncker. Dopo una campagna elettorale di attacchi alla Germania e controattacchi da Berlino e Bruxelles, la circostanza ha del paradossale. Ma il cinismo della realpolitik democristiana è più forte di ogni differenza.

Fra i gruppi minori, la sfida per il terzo posto parrebbe vinta dai liberali. Il condizionale è d’obbligo: al momento di andare in stampa, i risultati generali sono ancora molto provvisori, e il numero di «non affiliati» appare ancora molto alto. Anche se restassero terzi, i liberali non possono cantare vittoria: nelle loro due roccaforti, Germania e Regno Unito, sono scesi moltissimo. La parabola della Fdp tedesca è emblematica, ma anche i travagli dei Lib-dem britannici fanno presagire un futuro difficile per questa «famiglia». I Verdi tengono, anche se l’arretramento degli ecologisti francesi fa perdere loro alcuni seggi.

Certamente più grande della scorsa legislatura sarà il gruppo Gue/Ngl dove siedono i deputati della Sinistra europea di Alexis Tsipras. Il contributo maggiore, oltre naturalmente a quello della greca Syriza, arriva dalla penisola iberica, dove la spagnola Iu avanza (anche se meno del previsto), e i comunisti portoghesi ottengono un ottimo risultato. Ma c’è da segnalare anche il possibile ingresso dei 5 eletti di podemos, la lista spagnola di indignados che ha sorpreso tutti con uno spettacolare 8%. E se la lista italiana dovesse riuscire a superare lo sbarramento, a conti fatti la Gue/Ngl potrebbe superare i Verdi. Restano un’incognita le forze «euroscettiche», più divise al proprio interno di quanto non dica la comune etichetta.

Da domani,quando con i numeri definitivi si vedranno i leader dei Paesi, è possibile che assisteremo a tentativi di ricomporre i gruppi dell’Europarlamento in funzione di nuovi rapporti di forza. Ma all’orizzonte non s’intravede alcun cambiamento di linea politica. Che alla fine sia Juncker o Schulz a guidare la commissione, l’austerità continuerà. Trovando di fronte a sè, però, un’opposizione più forte.