Nell’assemblea romana davanti al Teatro Argentina lo «sguardo» di lavoratrici e lavoratori autorganizzati dello spettacolo – raccolti dalla Rete InterSindacale Professionist* spettacolo e cultura – è rivolto a Milano, Napoli e Padova dove sono cominciate le occupazioni dei teatri: a Milano è il Piccolo Teatro Grassi occupato ieri mattina, a Napoli il Teatro Mercadante – che si collega in streaming con la piazza romana -, a Padova il Teatro Verdi occupato la scorsa settimana mentre a Venezia i lavoratori bloccano il Ponte della Libertà con i loro bauli. E negli interventi della giornata il pensiero va all’«esempio della Francia», dove a partire dal 4 marzo – data dell’occupazione dell’Odeon a Parigi – sono ora più di novanta le strutture teatrali occupate in tutto il Paese, diventate presidi permanenti di confronto e protesta.

Nella Giornata internazionale del Teatro indicata neanche un mese fa da Franceschini come la data simbolica delle riaperture – «La grave emergenza sanitaria non ha consentito la riapertura di teatri e cinema già prevista nelle zone gialle, essendo purtroppo tutta Italia in zona rossa o arancione», ha detto ieri il ministro – poco o niente è cambiato dalle manifestazioni dello scorso 23 febbraio: «È da un anno che si va avanti a dichiarazioni senza basi» ci dice Tiziano Trobia della Camera del lavoro precario e autonomo. «E se anche la ripartenza ci fosse stata noi siamo convinti che sarebbe stata una falsa ripartenza, come quella di giugno, quando a rimettersi in moto è stato appena il 20% del settore».

ANCORA una volta, si insiste sulla necessità di un tavolo interministeriale che apra un dialogo con i lavoratori: non solo il Mibac ma il Ministero dello sviluppo economico e del lavoro, interlocutori necessari per la riforma strutturale del settore che ne affronti le storture rese evidenti dalla pandemia: «Precari lo si era già» recita uno dei tanti striscioni appesi alle mura dell’Argentina.

Nelle sue dichiarazioni seguite alle proteste di ieri il ministro della cultura ha promesso altri aiuti: «Arriverà presto il momento della riapertura e fino ad allora continueremo ad aiutare gli artisti, le maestranze e tutti gli operatori dello spettacolo». Ma uno dei punti fermi delle piazze in protesta è la fine della politica dei «bonus una tantum» – «La cultura non è fatta di mura ma di persone», sottolinea una lavoratrice dal palco dell’Argentina: persone lasciate fuori dalla politica dei ristori e da sempre sotto il ricatto del precariato – che chiedono un reddito di continuità, l’«Universal income» che campeggia su un altro striscione.

FRANCESCHINI aggiunge che la pandemia «è stata l’occasione per intervenire in via emergenziale sulle gravi lacune che da tempo questo settore soffre nelle tutele dei lavoratori. E per questo stiamo lavorando a un disegno di legge che possa finalmente correggere questi aspetti, anche raccogliendo le iniziative già presenti in Parlamento». E chissà se la promessa riforma accoglierà anche un’altra delle istanze principali delle piazze: una messa in discussione del Fus «di cui non si parla mai: né dei suoi destinatari né dell’esigenza di redistribuirlo – mentre le grandi istituzioni teatrali durante la pandemia hanno continuato a ricevere le sue sovvenzioni senza avere una programmazione», aggiunge Troiba.

DI FRONTE al Teatro Argentina c’è anche una mappa («Ammappa!»), dove tutte le piccole e medie realtà indipendenti, autogestite, occupate e dimenticate dalle istituzioni che si sono radunate davanti al teatro romano possono «indicare» la loro esistenza, riunirsi e discutere di una ripartenza che sia «per tutti». Ciascuno con una puntina può collocare il suo spazio sulla mappa di Roma: le conchiglie indicano un luogo di formazione, gli alberi i teatri pubblici, le pozioni magiche quelli privati, i fenicotteri gli spazi occupati/autogestiti e così via.
Quello di ieri è stato il secondo giorno di mobilitazione per le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo romani, che il giorno prima avevano manifestato insieme ai rider e il mondo della scuola proprio per aprire la loro protesta al resto della società.