«Yes, we scan». L’ironia degli attivisti Usa, ripresa e amplificata dal web, risulta quanto mai puntuale anche ora che il Datagate è tracimato in Francia, provocando una crisi diplomatica tra Parigi e Washington. Il fondo della questione era già venuto fuori in estate, a seguito delle rivelazioni di Edward Snowden. Allora, l’ex tecnico della Nsa consegnò al giornalista Glenn Greenwald, che scriveva sul Guardian, valigie di file: le prove dello spionaggio illegale messo in campo dall’Agenzia per la sicurezza Usa (Nsa) oltre leggi e frontiere. Un’inchiesta di Le Monde, a cui Greenwald ha collaborato, ha però rilanciato la faccenda, mostrando con grafici e dettagli il funzionamento dei programmi di sorveglianza digitale Usa. Dal 10 dicembre 2012 all’8 gennaio 2013, la Nsa ha carpito e registrato 70,3 milioni di telefonate, messaggi o e-mail. Una media giornaliera di 3 milioni di intercettazioni, che arrivavano a 7 durante le feste: giustificate con la «guerra al terrorismo» e la sicurezza dei cittadini, ma in realtà rivolte agli affari, alla politica, all’amministrazione pubblica e anche alle comunicazioni del francese qualunque. In base a un documento della Nsa, datato agosto 2010, le informazioni rubate in Francia e in altre sedi diplomatiche hanno avuto il loro peso nel determinare il voto di una risoluzione al Consiglio di sicurezza su nuove sanzioni all’Iran per il suo programma nucleare.
«Pratiche inaccettabili tra partner, che devono finire», ha ribadito ieri il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius al Segretario di Stato nordamericano John Kerry durante un incontro al Quai d’Orsay. Tuttavia, dopo aver convocato l’ambasciatore Usa, Parigi (per Kerry, «il più antico alleato degli Stati uniti) ha abbassato i toni. Ha comunque promesso di portare domani e venerdì la questione a Bruxelles, al vertice dell’Unione europea, per chiedere un regolamento sulla protezione dei dati personali. Washington ha promesso «discussioni bilaterali». Ha assicurato che «gli Stati uniti rivedono in questo momento il loro modo di raccogliere informazioni». E ha affermato che proteggere la sicurezza dei propri cittadini nel mondo è però «molto complicato».
Il discorso di fondo, rimane tuttavia sempre lo stesso, già avanzato da Obama: così fan tutti, perché stupirsi? La stampa Usa lo ha ribadito ieri con ficcante ironia: ricordando a Parigi una precedente inchiesta di Le Monde sui servizi segreti francesi (Dgse) e rammentando anche il ruolo avuto dalla Francia nell’impedire al presidente boliviano Evo Morales il sorvolo del proprio spazio aereo, ai primi di luglio: allora, la Cia sospettava che Morales nascondesse Snowden sul suo aereo presidenziale. Tutti i presidenti socialisti dell’America latina avevano però fatto blocco, respingendo le pesanti ingerenze Usa, e accusando l’Europa (a sua volta spiata dalla Nsa) di subalternità al potente alleato nordamericano. Anche il Brasile, solido partner di Washington, dopo aver saputo che i suoi interessi e i suoi governanti erano stati spiati, ha annullato la visita della sua presidente Dilma Rousseff negli Stati uniti. «Tutti i paesi dell’America latina sono stati spiati dal governo americano», ha confermato Greenwald ancora lunedì, precisando di aver fornito «da diverso tempo» le informazioni pubblicate dal quotidiano francese: non per danneggiare la sicurezza dei cittadini, non per «minare la democrazia, ma per «rafforzarla», per risvegliare le coscienze «sui rischi che comportano per i nostri valori» queste pratiche senza controllo, «per trovare un equilibrio tra sicurezza nazionale, libertà pubbliche e diritto all’informazione», ha scritto Le Monde.
Anche l’Italia è stata per anni nel mirino della Nsa e lo è tutt’ora, ha confermato l’organismo per la sicurezza Copasir, che oggi incontrerà il sottosegretario delegato Marco Minniti. E il Garante della privacy, Antonello Soro, ha scritto al premier Enrico Letta (che ha ricevuto Kerry) chiedendogli di far luce sulla vicenda. Ma già il sito Globalist, citando proprie fonti qualificate, aveva sollevato la questione: il Datagate? «Ebbe inizio a Roma nel maggio del 2006 quando su ordine di George Bush mezza città venne intercettata dalla Nsa perché si voleva carpire ogni minimo dettaglio sulla visita del presidente venezuelano Hugo Chávez». Stesse tecniche – ha detto Snowden – usate nel G20 del 2009 su intere delegazioni presenti.