Con i denti è il secondo romanzo di Kristen Arnett, edito da Bollati Boringhieri (pp. 288, euro 18, traduzione di Benedetta Gallo), dopo il successo dell’esordio Mostly dead things, che è stato un vero best seller negli Stati Uniti. È la storia di una coppia di madri e del loro figlio Samson. La rivoluzione sociale della fine degli anni ’60 e il femminismo della seconda ondata degli anni ’70 sono stati tra i fautori della liberazione sessuale, uno dei pilastri del movimento Lgbtq+. E il romanzo di Arnett è la dimostrazione che la possibilità di vivere liberamente il proprio orientamento sessuale è oggi di fatto parte dell’immaginario collettivo e quindi della letteratura mainstream.
Con i denti racconta da un punto di vista interno le difficoltà e l’angoscia che possono connotare le vicende di qualsiasi coppia con un figlio, anche quella composta da due donne: Sammie e Monika.
Sammie, che ha partorito Samson e avendo un lavoro part time e poco retribuito si occupa di lui a tempo pieno (mentre Monika porta avanti la sua carriera di avvocata e sostiene l’economia familiare), è la voce narrante di questo romanzo diviso in quattro parti: inverno, primavera, estate, autunno.

L’INVERNO INIZIA con un tentato rapimento di Samson al parco giochi, che Sammie riesce a sventare, senza però poter comprendere perché suo figlio avesse deciso di seguire quell’uomo nel suo camion e, soprattutto, senza poter accettare che quando lei ha cercato di riprenderlo con sé, il bambino abbia opposto così tanta resistenza.
La primavera è la stagione dei grandi tormenti di Sammie rispetto alla personalità di Samson, taciturno e dispettoso, disobbediente e violento. Il suo carattere maturerà nel corso del romanzo, seppure il ragazzo rimarrà sempre silenzioso, incapace di ascoltare e maleducato: insulta una donna anziana che lo rimprovera per aver attraversato la strada all’improvviso, ruba in un supermarket e viene scoperto mentre orina sul muro di un autogrill.

AL PRINCIPIO della sezione estate Monika e Sammie si sono già lasciate da tempo: vivono ancora tutti insieme nella bellissima casa di proprietà di Monika, ma le due frequentano altre donne. Samson va al liceo e Sammie continua a occuparsi di accompagnarlo a fare nuoto, prepara la cena, fa le pulizie e il bucato. Estate, però, racconta il tempo della separazione, anche interiore: «Era così stanca di sentirsi come un corpo diviso a metà. A volte si sentiva una madre, con il corpo di una madre che faceva tutto quello che una madre deve fare, e il resto del tempo cercava di essere una persona che faceva sesso».

MONIKA NON SEMBRA vivere il suo stesso travaglio: il suo corpo non è mai stato «il corpo di una madre» e non solo perché non ha partorito Samson. Non ha mai fatto, se non dal punto di vista economico, ciò che ha fatto Sammie: prendersi carico. Delle faccende domestiche, della relazione con i docenti e poi dei compiti, le visite mediche, i tragitti in auto per accompagnarlo a fare sport, il tempo quotidiano passato con un ragazzino che, a volte, può essere detestabile.
L’autunno con cui si conclude il romanzo accenna a una nuova forma di stabilità, in cui Samson se ne è andato per frequentare altrove il college e le due ex mogli, dopo una grave e rocambolesca crisi che ha concluso la stagione «estiva» della loro vita, hanno entrambe un’altra relazione.

IL SUSSEGUIRSI DELLE STAGIONI e l’inevitabile naturalità a cui allude questa scelta narrativa concorrono a descrivere ciò che nel libro viene espresso in più di un punto: «la gente si aspetta troppo dai genitori queer». Sammie e soprattutto Monika hanno cercato di vivere l’esperienza del matrimonio e della genitorialità aspirando a un impossibile idillio perenne, perché la società pretende che le famiglie cosiddette arcobaleno siano perfette e felici, come se a comporle non fossero degli esseri umani, ma «unicorni».
Attraverso la voce di Sammie, Arnett racconta invece che come in tutte le famiglie, anche in quelle omosessuali: «i genitori riuscivano a incasinarti alla grande anche quando facevano del loro meglio». Inoltre, la materialità della maternità non è necessariamente meno gravosa se sei gay. E i tempi sembrano maturi per poterlo raccontare.