Il passaggio formale in Parlamento per certificare che la natura di governo e maggioranza è cambiata ci sarà. E’ l’esito della trattativa tra Giorgio Napolitano da un lato e la folta delegazione forzista salita al Colle ieri pomeriggio dall’altro. In cambio il presidente ottiene una posizione di non drastica chiusura dei berlusconiani su due dei tre temi che considera prioritari per il prosieguo della legislatura: riforme costituzionali e legge elettorale. La sorpresa è il terzo capitolo. Si chiama amnistia e non è certo sgradita a Forza Italia.
I berlusconiani illustrano nel dettaglio il loro cahier de doléances a partire dal voto palese sulla decadenza del capo. Martellano soprattutto sull’apertura formale della crisi e la richiesta di un nuovo voto di fiducia. Non è che si illudano sui risultati. Sanno perfettamente che il governo reggerà. L’obiettivo è un altro: è certificare che le larghe intese sono morte, che la natura della maggioranza e del governo è sostanzialmente cambiata, che si tratta di un centrosinistra di fatto.
E’ l’opposto di quello che vuole Angelino Alfano. In mattinata aveva fatto la voce grossa e ricordato al governo che i suoi voti saranno anche solo trenta, ma determinanti per la sopravvivenza del governo, proprio per ribadire che il governo resta una coalizione non egemonizzata dal Pd. La scelta di Napolitano non gli farà alcun piacere.
Per il Nuovo centro destra apparire come ruota di scorta del Pd potrebbe rivelarsi esiziale. Le europee sono già dietro l’angolo. I berlusconiani le attendono per arrivare alla resa dei conti con «i traditori» di oggi, alleati di domani. Perché Alfano e i suoi nella coalizione di centrodestra dovranno esserci, ma in posizione subordinata. Proprio a dimostrare quanto poco contino in termini di voti serviranno le europee.
Alle insistenze dei capigruppo Brunetta e Romani il capo dello Stato non oppone il previsto diniego secco. Napolitano, stavolta, è diplomatico. Riafferma che lui «intende garantire tutti» . Esprime «comprensione! per il difficile momento che il partito azzurro. Concede il passaggio alle camere, anche se non si impegna sulle forme del medesimo, che andranno concordate con Letta al suo ritorno in patria.
Poi il presidente passa a elencare la sua lista delle priorità, e se non è una agenda dei prossimi passi del governo poco ci manca. Ci sono le riforme e la legge elettorale, come da copione, e i forzisti si mantengono sullo stesso registro del presidente: nessun impegno ma nemmeno chiusure rigide. «Sentiremo cosa propone Letta, comunque siamo all’opposizione e dunque non più impegnati a sostenere nulla». Però di ritorno all’art.138 per le modifiche della Carta non si fa cenno e per il presidente è già un risultato più che soddisfacente.
A sorpresa Napolitano pone un terzo punto irrinunciabile: la situazione delle carceri. Che fosse a dir poco molto scontento per il vuoto nel quale è caduto il suo messaggio era noto. Il 4 dicembre parteciperà, al senato, a un convegno organizzato dalla commissione Diritti umani sul tema. Forse si limiterà a un formale saluto, ma forse andrà oltre e rilancerà senza mezzi termini i contenuti del messaggio. Agli stupiti forzisti ripete che l’emergenza carceri è una priorità assoluta. Quando quelli gli chiedono se alluda a un’amnistia si limita a un sibillino, ma nemmeno troppo: «Qualcosa bisogna fare». Di altre vie per decongestionare in tempi rapidi le patrie galere, oltre a indulto e amnistia, però non ce ne sono.
Sullo sfondo, intanto, prosegue la giostra delle poltrone provocata dal passaggio di Fi all’opposizione. Due sottosegretari si sono dimessi (Miccichè e Santelli). Due (Girlanda e Ferri) non ci pensano per niente e hanno scelto di mantenere il posto, due (Ferrazza e Archi) devono decidere. Ma la partita vera riguarda la postazione strategica delle presidenze di commissione. E lì si può stra certi che i forzisti non molleranno facilmente l’osso.