Chi ha soldi da spendere verso il privato (con quello “sociale” in gran spolvero), chi non ne ha si accontenti di quello che passa il convento del pubblico. Anche la sanità toscana, per anni fiore all’occhiello dei sostenitori del servizio pubblico universalistico contrapposto al modello sussidiaristico lombardo-veneto – con parità di efficienza – ha cambiato verso. Così la pensano tutti i gruppi di opposizione nel nuovo Consiglio regionale, pronti a sottoscrivere all’inizio dell’estate i quesiti presentati dal Comitato per la sanità pubblica, per un referendum abrogativo della legge di riordino del sistema sanitario toscano.
Tutti insieme, da Toscana a Sinistra ai 5 Stelle, da Lega-Fdi a Fi, contro la recente legge regionale 28/2015. Meno dozzinale del progetto governativo dei tagli alle prestazioni diagnostiche. Ma che al tempo stesso si sta dispiegando, progressivamente, come un provvedimento che sta portando alla riduzione dei presìdi territoriali. Alla riduzione (l’ennesima) degli addetti, con conseguenti difficoltà ad assicurare per tempo i servizi meno “emergenziali” ma di quotidiana utilizzazione. Al conseguente passaggio di questi stessi servizi, i più gettonati dai cittadini, a un privato sociale o tout court che si è subito attrezzato alla bisogna. Un privato sociale che visti gli aumenti dei ticket, giustificati dal Pd di Enrico Rossi come inderogabili a causa dei minori finanziamenti statali, diventa addirittura più economico, oltre che veloce, rispetto al corrispettivo pubblico.
Se la firma delle destre ai quesiti referendari è interpretabile come il tentativo, legittimo, di non restare con il cerino in mano di fronte a un tema molto sentito da una società toscana sempre più over 65, la sinistra ha colto per tempo la portata negativa della riforma. Tommaso Fattori ha voluto presentare la sua candidatura in Consiglio regionale nel piccolo giardino antistante al presidio sanitario fiorentino di Santa Rosa, in via di smantellamento. E non appare un caso che a fargli compagnia fra i banchi dell’assemblea toscana sia stato votato il pediatra fiorentino di base Paolo Sarti. Un addetto ai lavori, più che critico dello stato dell’arte prefigurato dalla riforma.
Ospite del programma televisivo Agorà, ai primi di agosto Enrico Rossi ha ricordato che nel 2014 il sistema toscano ha avuto 45 milioni di avanzo di bilancio, e ha poi osservato: “E’ giusto il principio del risparmio e della spending review, ma attenzione, la spesa sanitaria italiana è al di sotto della media europea (per 18 miliardi di euro, ndr), e ci stanno ulteriormente chiedendo sacrifici”. Il paradosso del ragionamento è che a chiederli è il governo sostenuto da Rossi, guidato dal partito di Rossi.
Quanto ai “numeri del risparmio”, all’epoca sono stati così quantificati dall’assessore regionale uscente Luigi Marroni: “Per la sanità la manovra vale 210 milioni, che diventano circa 250 tenuto conto che dovrà coprire ulteriori costi crescenti per alcuni servizi. Non solo: occorre tener conto della naturale lievitazione dei costi generali, stimata in 100 milioni, quindi dobbiamo confrontarci con una contrazione reale da circa 350 milioni”. Tanti. Al tempo stesso Marroni ha ammesso che alla riforma sanitaria, ultimo atto della scorsa legislatura toscana, “si pensava da tempo”. E ad applicarla, ennesimo indizio che porta a prova certa, il Pd ha voluto al posto di Marroni la fedelissima renziana Stefania Saccardi, da sempre sostenitrice del “privato sociale”, e in rapporto biunivoco con le sue centrali.
Nel firmare i quesiti referendari, Tommaso Fattori e Paolo Sarti hanno risposto colpo su colpo: “I risparmi previsti si avranno solo con nuovi tagli al personale a scapito dei servizi, aprendo le porte a un privato in grado di garantire tempi di attesa inferiori, e già agevolato dalla previsione dei ticket più alti d’Italia. Già ai tempi del referendum sull’acqua abbiamo assistito alla netta divaricazione tra maggioranza sociale e maggioranza politica in questa regione e in questo paese. Oggi anche sulla sanità pubblica la parola deve tornare ai cittadini, che capiranno la gravità della posta in gioco”. I toscani, che oggi pagano già di tasca propria più del 30% delle prestazioni sanitarie. Con una compartecipazione alla spesa che in questa regione è la più alta dell’intera penisola.