La data da segnare sul calendario è il 20 giugno: in tutta Europa si manifesterà per dire che l’Ue deve cambiare. Sui due fronti più caldi e drammatici: i migranti e la Grecia. Questioni che rappresentano, pur nelle differenze, lo stesso paradigma: quello del rifiuto della solidarietà, dell’indifferenza verso le vite concrete delle persone, che si tratti del profugo siriano o del disoccupato ellenico.

Il dato politico di grande rilievo è che si scenderà in piazza non solo nella periferia del continente (in Italia l’appello alla mobilitazione ha come prima firmataria Luciana Castellina e sta circolando nelle reti dell’Arci e di altri movimenti), ma anche nel centro, dove si prendono sul serio le decisioni che contano.

In Germania l’appuntamento si annuncia molto partecipato: si stanno scaldando i motori di un’organizzazione che vede lavorare insieme i due partiti di opposizione, Linke e Verdi, ma anche la corrente di sinistra della Spd.

E molte strutture sindacali, insieme ad organizzazioni non-governative e associazioni di immigrati e della numerosa comunità di greci che vivono nella Repubblica federale.

I promotori sono nettissimi nel denunciare gli effetti disastrosi delle politiche di austerità, ma anche l’odiosa propaganda anti-greca (e anti-meridionale in genere) di certi media conservatori (come il diffusissimo quotidiano scandalistico Bild) che spesso trasuda vero e proprio razzismo.

Atteggiamento che è del tutto esplicito nei partiti di estrema destra che stanno alimentando la paura dell’invasione di migranti, mescolando vecchi pregiudizi e nuova islamofobia: il voto per il sindaco di Dresda di domenica scorsa, con Pegida al 10%, mostra che la loro propaganda può trovare ascolto. In particolare in quella Germania orientale dove più alti sono la disoccupazione e il disagio sociale, e i neonazisti della Npd sono dotati di strutture e militanti.

La mobilitazione per un’Europa sociale e accogliente si inserisce in una fase di nuovo protagonismo anche del sindacato: gli anni della moderazione salariale sembrano davvero alle spalle. Si allarga lo sciopero dei dipendenti delle poste, che ha come obiettivo la reincorporazione di una serie di servizi che la dirigenza aveva affidato a società figlie create allo scopo dichiarato di migliorare l’efficienza: in realtà, quello di pagare meno i lavoratori.

Entra invece nella fase di arbitrato – prevista esplicitamente dal diritto sindacale tedesco – la vertenza che vede protagonisti gli operatori comunali dei servizi per l’infanzia, che chiedono investimenti nel settore e aumenti di stipendio pari al 10%.