Una indiscrezione ieri correva veloce nell’imminenza dell’arrivo in Israele e nei Territori occupati del segretario di stato Usa John Kerry, in missione nella regione: l’amministrazione Obama avrebbe intenzione di presentare a gennaio un proprio piano per un accordo definitivo tra Israele e i palestinesi. Lo dice la presidente del partito israeliano “Meretz” Zahava Galon – che avrebbe parlato con un “alti funzionari” del Dipartimento di stato -, aggiungendo che Kerry avrebbe informato della cosa il premier Netanyahu nel recente incontro a Roma. Si tratterebbe di un piano molto simile a quello presentato dall’ex presidente Usa Bill Clinton alla fine del 2000, fondato sulle linee del 1967 e su scambi territoriali. Presto si capirà la fondatezza di questa indiscrezione, nel frattempo tutto allontana la già remota possibilità di un accordo tra israeliani e palestinesi. A cominciare dalla corsa sfrenata alla colonizzazione dei Territori occupati fino all’ultimo annuncio del premier israeliano Netanyahu che sarà costruita una nuova barriera, questa volta lungo il Giordano. Proprio la scorsa settimana Netanyahu aveva detto, generando forti proteste palestinesi, che considera il controllo israeliano della Valle del Giordano una questione strategica fondamentale e una linea rossa per tutti i futuri accordi.

A queste e a tante altre ragioni che giocano contro un accordo, si aggiungono i forti interessi economici generati dall’occupazione militare. La Givot Olam, società petrolifera israeliana, ha comunicato che le sue recenti esplorazioni rivelano che il pozzo Meged 5, nei pressi di Rosh Hayin, avrebbe riserve di greggio ampiamente superiori a quelle stimate in passato: 3,53 miliardi di barili (circa un settimo delle riserve di petrolio del Qatar, per capirci) contro 2,15. L’euforia ha subito contagiato i responsabili israeliani del settore e gli operatori finanziari che in questi ultimi anni hanno festeggiato anche la scoperta di due ingenti giacimenti sottomarini di gas: Tamar e Leviatano. Tuttavia, proprio come nel caso della disputa in corso con il Libano per lo sfruttamento di quel gas, anche nel caso del Meged 5 è subito sorto un interrogativo: quella ricchezza petrolifera appartiene tutta a Israele o anche ai palestinesi della Cisgiordania occupata? «Non sono un geologo ma considerando che il Meged 5 è vicinissimo alla “linea verde” (che internazionalmente divide Israele dai Territori occupati, ndr) la riserva nel sottosuolo deve per forza interessare anche il territorio della Cisgiordania. E’ naturale che sia così», ci ha detto Dror Ektes, un ricercatore sulle attività israeliane nelle terre palestinesi che conosce ogni centimetro della “linea verde”. Secondo la televisione araba al Jazeera, che ha intervistato un funzionario israeliano, il Meged 5 si estenderebbe in un’area larga tra i 125 e 250 kmq e, inevitabilmente, anche in territorio palestinese. D’altronde l’anno scorso fu anche un ex ministro, Efraim Sneh, ad ammettere che il petrolio del pozzo interessa un territorio che va dalla città israeliana di Rosh Hayin al villaggio palestinese di Rantis, non lontano da Ramallah.

Sneh in quell’occasione parlò di collaborazione tra Israele e Anp di Abu Mazen, sulla base degli accordi di Oslo, a beneficio delle due parti. A distanza di un anno le cose certo non vanno in quella direzione. E ora che il Meged 5 si è rivelato ancora più generoso è difficile immaginare l’inizio di una collaborazione per lo sfruttamento della ricchezza del petrolio. «Israele ci prende anche le risorse naturali, l’occupazione non riguarda solo le colonie e la confisca di terre» dice Ashraf Khatib, un esperto dell’Anp ricordando che i palestinesi hanno giacimenti sottomarini di gas davanti alle coste di Gaza ma non hanno mai potuto sfruttarli. Qualcuno fa notare che il controllo esclusivo da parte di Israele della cosiddetta “Area C” della Cisgiordania (60% del territorio) non consente ai palestinesi di avere accesso alla zona del Meged 5. Ed è molto probabile che il governo Netanyahu insisterà per avere quella porzione di terra in un  ipotetico accordo permanente con i palestinesi mentre l’influente ministro del commercio e dell’industria, Nafatli Bennett, invoca l’annessione immediata a Israele dell’area C della Cisgiordania.