Virus è decisamente la parola dell’anno 2020. Lo sanno anche al Karolinska Institut di Stoccolma, evidentemente, visto che il Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia è andato quest’anno agli scopritori del virus dell’epatite C. Ancora una volta, tre uomini bianchi: gli statunitensi Harvey J. Alter (85 anni) e Charles M. Rice (68 anni), e il britannico Michael Houghton (71 anni). Con loro, sono già 210 volte che il premio va a scienziati uomini – su 222 laureati sinora in questa disciplina.

ANCHE QUEST’ANNO la scoperta che si è deciso di premiare è scientificamente molto interessante e rilevante: fino alla fine degli anni 70 erano noti solo due virus che potevano colpire il fegato, quello dell’epatite A – che ha una fase acuta e viene trasmesso da acqua o cibi crudi non puliti, ma che non ha effetti a lungo termine – e quello dell’epatite B, trasmesso dal sangue e che invece tende a cronicizzarsi e, se non curato, può causare epatiti e portare anche la morte. Ma una volta identificati questi due virus (lo scopritore del virus dell’epatite B, Baruch Blumberg, ottenne il Nobel nel 1976 per questa scoperta), gli scienziati, fra cui lo stesso Alter, si accorsero che molti pazienti che ricevevano le trasfusioni continuavano ad ammalarsi di epatite.

Fu proprio Alter che negli anni 70 dimostrò che il sangue di questi pazienti poteva trasmettere la malattia alle scimmie e dato che non poteva trattarsi né di epatite A, né di epatite B, doveva trattarsi di un altro patogeno. Qualche anno dopo, fu Houghton che riuscì a identificare il genoma (in questo caso, Rna) di un nuovo tipo di virus, che battezzò epatite C, mentre fu Rice a dimostrare che questo nuovo virus della famiglia dei Flavivirus era proprio capace di causare la malattia. Siamo alla fine degli anni 80.

«PER LA PRIMA VOLTA nella storia, la malattia può ora essere curata, alimentando le speranze che l’epatite C possa essere eradicata», afferma il Comitato del Nobel. Sono più di 70 milioni le persone infette nel mondo, e secondo l’Oms questo virus causa 400mila vittime all’anno. La cura esiste e si chiama sofosbuvir, peccato che sia carissima che il brevetto lo detenga Gilead, la stessa che detiene il brevetto per il remdesivir che forse sta salvando Donald Trump, e milioni di altre persone nel mondo, affette dalla Covid. Lo stesso sofosbuvir si sta sperimentando anche contro il virus della Sars-CoV-2. Nel 2017 Medici senza frontiere e altre ong chiesero all’Ufficio brevetti europeo, senza fortuna, di ritirare il brevetto del sofobuvir alla Gilead perché i prezzi imposti dalla farmaceutica mettevano a repentaglio la vita di molti pazienti: ciascun ciclo di cura oggi vale sui 20mila euro in Europa.

La storia della scoperta del virus dell’epatite C ha un altro legame diretto con l’altro virus che al momento preoccupa l’umanità: fino al momento in cui non è stato possibile individuare il patogeno, non è stato possibile né disegnare dei test in grado di scoprirlo nelle mostre di sangue, per evitare di utilizzare gli stock infetti nelle trasfusioni, né sviluppare farmaci antivirali capaci di curare la malattia. La malattia esiste ancora, ma grazie ai tre scienziati che hanno ottenuto ieri la gloria, ora esiste la concreta speranza di poter eradicare la malattia: l’Oms ha fissato il 2030 come obiettivo.

La ricerca scientifica, ci insegna ancora questa storia, è la chiave per raggiungere l’obiettivo di fermare una pericolosa malattia globale. Ma a mettere i bastoni fra le ruote, oggi come allora, ci sono i brevetti: che per molti, soprattutto nel caso di emergenze sanitarie, devono poter essere bypassati (ed esistono norme previste anche da organismi internazionali per queste situazioni).

ANCORA UNA VOLTA, però, la celebrazione di un premio anacronistico come il Nobel distorce la realtà di una scienza non fatta da eroi solitari, come pensava il positivista Alfred Nobel un secolo fa, ma da équipe di persone diverse, che vivono in un mondo dove gli interessi sono molti, e non sono tutti nobili. Lo stesso Houghton lavorava alla farmaceutica Chiron quando studiava l’epatite. Viva i Nobel, che ci permettono di parlare di bella scienza; ma l’immagine della scienza è molto più variegata che un’elegante cerimonia in frac una volta all’anno.